funzionamento e liceità della liberalizzazione e aggiornamento del RUI

 Con la sentenza n. 4/2020 pubblicata il 02.01.2020, il Tribunale di Trento è intervenuto sulla c.d. liberalizzazione del portafoglio: un istituto poco frequentato nelle aule giudiziali, ma che ricopre un’importanza diffusa e rilevante nel mercato assicurativo e nei rapporti tra compagnie preponenti e agenti di assicurazione.

La pronuncia in esame si pone, dunque, come un precedente in grado di affiancare e avvallare la consueta prassi, invalsa da decenni nel settore, dandole crisma d’applicazione giurisprudenziale: sia sotto il profilo della sua definizione e legittimità; sia sotto il profilo della ridefinizione dei rapporti (e quindi dei diritti e degli obblighi) tra impresa e intermediario successivamente alla sottoscrizione dell’accordo di liberalizzazione.

L’importanza della sentenza è dovuta anche al fatto che il Tribunale di Trento è territorialmente competente per uno dei maggiori gruppi assicurativi italiani (nonché il primo per fondazione): sicché l’arresto in commento è potenzialmente destinato a creare un precedente anche per gli altri fori che, al pari di quello tridentino, siano per collocazione territoriale vocati a conoscere con più frequenza di tale materia e più in generale di diritto delle assicurazioni.

La definizione.

Quanto alla definizione di liberalizzazione, il Tribunale di Trento così puntualizza:

Vale premettere che la liberalizzazione deve intendersi quale un accordo tra la compagnia assicurativa e l’ex agente, in forza del quale le parti convengono di sostituire le indennità di fine rapporto con la possibilità di quest’ultimo di mantenere la gestione ordinaria delle polizze, trasferendo alla scadenza concordata i contratti assicurativi ad una nuova compagnia  (…).

 In particolare giova rammentare che con la liberalizzazione del portafoglio aziendale il preponente cede all’agente gli affari rinunciando ai vantaggi economici che ne sarebbero derivati, laddove l’agente ottiene la possibilità di trasferire i contratti dallo stesso gestiti presso un’altra compagnia assicurativa, rinunciando alla indennità di risoluzione del rapporto previste dall’art. 1751 c.c. e dall’ANA 2003.

L’art. 1751 c.c. prevede un sistema indennitario, che vede come presupposto l’impossibilità dell’agente di continuare a lucrare provvigioni sugli affari che rimangano del preponente, stante la cessazione del rapporto agenziale; di talché è evidente che in tale ipotesi le indennità costituiscono un corrispettivo economico a fronte della cessione dei contratti da parte dall’agente ed in favore della preponente all’atto della cessazione del mandato.

Diversamente, nella fattispecie in esame, l’intervenuta liberalizzazione consentendo all’agente di mantenere i guadagni provvigionali, costituisce una alternativa alle indennità previste dall’ANA 2003”.

Più nello specifico, optando per la liberalizzazione del portafoglio, l’intermediario cessa di essere

agente, rinunciando nel contempo definitivamente alle indennità di fine rapporto, come previsto dall’art. 12 Ter co. 1, 3 e 4 dell’Accordo Nazionale Agenti 2007”.

Naturalmente ci si è interrogati, soprattutto in dottrina, sulla liceità di una deroga all’art. 1751 c.c. A riguardo, per brevità è opportuno ricordare:

  1. che la deroga è sempre possibile e lecita laddove sia di miglior favore per l’agente – posizione oramai unanime tra gli interpreti
  2. che l’art. 1751 c.c., con specifico riferimento agli agenti di assicurazione, trova applicazione solo dove non vi siano apposite previsioni – il tutto, in virtù dell’art. 1753 c.c.

Questo secondo assunto – va dato atto – è criticato da parte della dottrina che si occupa di contratto di agenzia; ma è ritenuto assodato e legittimo per chi si occupa più nello specifico degli agenti di assicurazione, i cui connotati – sia economici sia sociali sia imprenditoriali – li distinguono dagli agenti di commercio, tanto che sono stati recepiti a livello normativo sia dal legislatore italiano (fra l’altro per l’appunto, con l’art. 1743 c.c.) che dal legislatore comunitario (direttiva 86/653/CEE; cfr. Corte di Giustizia CE, ordinanza 2003/C146/21).

Il Tribunale di Trento, pur succintamente e incidenter tantum, in merito alla liberalizzazione ha statuito che la

legittimità è stata riconosciuta da Cass. nn. 18203/2002 e 10853/2000, nonché da Trib. Milano n. 12129/2005, secondo cui “è meritevole di tutela, in quanto migliorativo, l’accordo di liberalizzazione del portafoglio agenziale assicurativo, disciplinato per la prima volta dalla contrattazione collettiva del 2003, in forza del quale l’agente rinuncia alle indennità di risoluzione del rapporto in cambio della facoltà di trasferire i contratti ad altra compagnia più redditizia, conseguendo così lo scopo principale dell’accordo, cioè il recupero della redditività dell’agenzia”.

In definitiva, l’atto di liberalizzazione costituisce un patto con il quale – per accordo tra le parti o su richiesta dell’agente – quest’ultimo scambia l’indennità di fine rapporto con la gestione temporanea delle polizze con lo scopo di trasferirle alla sua nuova preponente: la scommessa imprenditoriale consiste nella possibilità di mantenere con sé gli assicurati, appoggiandoli sulla nuova mandante, e continuando a lucrare le provvigioni su quei contratti che (senza liberalizzazione) sarebbero rimasti alla ex preponente.

I nuovi rapporti tra compagnia e intermediario e l’aggiornamento del Registro Unico Intermediari

Ci si può chiedere, allora, se l’accordo di liberalizzazione, per il periodo della sua durata, mantenga in essere un rapporto agenziale tra compagnia e intermediario, visto che quest’ultimo prosegue, seppure temporaneamente, nella gestione delle polizze dell’ormai ex preponente. Sul punto – come vedremo – l’Accordo Nazionale Agenti è decisamente chiaro.

E tuttavia vale la pena riportare la parte di sentenza che si occupa di questo aspetto; e che risponde alla lamentela dell’ex agente, il quale riteneva non corretto che, una volta siglato l’accordo di liberalizzazione, la compagnia avesse comunicato all’Ivass (per la conseguente pubblicazione sul Registro Unico Intermediari) che egli non era più suo agente.

A chi scrive è noto che non poche compagnie comunicano all’Ivass che l’intermediario ha cessato di operare come loro agente solo dopo la cessazione della liberalizzazione. E tuttavia, dato testuale alla mano, va ritenuta più corretta la prassi di quelle compagnie, tra cui quella protagonista della sentenza, che danno questa comunicazione all’Ivass sin dall’inizio della liberalizzazione.

Dello stesso parere è anche il giudicante che, alla luce di quanto espressamente previsto dall’Accordo Nazionale Agenti incluso il suo allegato A, ha così deciso:

Né appare condivisibile l’affermazione di parte attorea, secondo cui “E’ notorio che durante il periodo di liberalizzazione l’Agente continua ad essere considerato tale a tutti gli effetti…” (v. pag. 12 atto di citazione).

Invero, giova rammentare che la liberalizzazione presuppone l’intervenuta cessazione dal rapporto agenziale, come si evince dall’art. 12 ter ANA, il quale al co. 1 recita: “…. ferma restando l’efficacia del recesso, l’agente potrà scegliere tra il pagamento degli indennizzi e la liberalizzazione del portafoglio gestito dall’agenzia…”, prevedendo il co. 3 che “l’impresa… consente all’agente cessato, nel rispetto degli assicurati, di trasferire ad altre imprese i contratti di assicurazione in carico all’agenzia alla data di cessazione del rapporto”.

A ciò si aggiunga che l’art, 2 del modello di accordo di liberalizzazione di cui all’allegato A prevede che “Il rapporto di agenzia di cui in premessa è risolto dalla data in cui il presente accordo sottoscritto dall’agente è pervenuto all’impresa ai sensi del III comma dell’art. 12 Ter ANA 2003, e comunque non oltre il 30 ° giorno dalla comunicazione del recesso, come previsto dal I comma dell’art. 12 Ter ANA 2003”.

D’altro canto il rapporto che si instaura a seguito dell’accordo di liberalizzazione non può essere qualificato come agenziale in quanto ai sensi dell’art. 4 all. A “Durante il suddetto periodo l’agente non potrà stipulare nuove polizze, né concludere affari e incrementare quelli esistenti, e comunque non potrà svolgere alcuna attività promozionale diretta o indiretta per conto dell’impresa” (v. anche art. 3 Accordo di liberalizzazione).

Da ultimo, e appare dirimente sul punto l’art. 17 all. A stabilisce che “Il rapporto tra agente e impresa inerente il presente accordo di liberalizzazione non è assoggettato né all’ANA 2003 né agli artt. 1742 -1752 del codice civile”, con ciò escludendo espressamente l’attività agenziale, così come definita dall’art. 1741 c.c. e dall’art. 106 Cod. Ass.”

In sostanza, sotto il regime della liberalizzazione l’intermediario incaricato ha il solo compito di gestire le polizze sino alla prima scadenza di premio (annuale o rateale): a quel momento, l’assicurato potrà scegliere tra la disdetta della polizza con sottoscrizione di una nuova presso la nuova preponente dell’intermediario, e la conferma della polizza col vecchio assicuratore (nel qual caso verrà assegnato ad altro agente). L’intermediario, durante la liberalizzazione, non può invece rinnovare le polizze né stipularne di nuove per conto dell’ex preponente.

Non svolge dunque le attività tipiche dell’agente per l’ex compagnia, e pertanto l’aggiornamento del RUI andrà fatto più correttamente proprio all’inizio della liberalizzazione.

«RINNOVO DELL’ANA 2003? CI ASPETTIAMO MAGGIORI CONCESSIONI DALLE COMPAGNIE»

«Il rinnovo dell’Accordo nazionale agenti del 2003? Da tempo stiamo lavorando allo studio di possibili ipotesi e a questo proposito vorrei ricordare che la contrattazione nazionale dovrebbe sempre riservare maggiori risultati alla parte debole del rapporto, per cui dal rinnovo dell’Ana ci aspettiamo maggiori concessioni dalle compagnie».

leggi l’articolo su tuttointermedari.it

leggi qui sull’attuale vigenza dell’Accordo Nazionale Agenti

Intermediari assicurativi e quantificazione degli oneri di sicurezza

di Rosalba avv. Colasuonno

E’possibile per l’intermediario assicurativo, a determinate condizioni, esporre costo zero alla voce oneri della sicurezza nell’offerta di partecipazione a una gara pubblica.

Abbiamo già visto come l’aggiudicazione ed esecuzione di un contratto d’appalto pubblico non comporti necessariamente l’aumento o l’integrazione ad hoc di spese per oneri della sicurezza specifici.

La quantificazione degli oneri aziendali della sicurezza è, dunque, rimessa al singolo concorrente in ragione del fatto che sono quelli

afferenti all’esercizio dell’attività svolta da ciascun operatore economico (detti anche, in giurisprudenza piuttosto che in dottrina, costi ex lege, costi propri, costi da rischi specifici o costi aziendali necessari per la risoluzione dei rischi specifici propri dell’appaltatore), relativi sia alle misure per la gestione del rischio dell’operatore economico, sia alle misure operative per i rischi legati alle lavorazioni e alla loro contestualizzazione.

L’indicazione degli oneri inerenti alla sicurezza aziendale deve necessariamente essere riferita esclusivamente alle

voci di oneri effettivamente sostenute o da sostenere in relazione allo specifico appalto dal concorrente e per le quali lo stesso dovrà fornire su richiesta della stazione appaltante le relative giustificazioni.

Date tali premesse è evidente che il contenuto delle prestazioni oggetto di appalto può essere tale da non comportare livelli di rischio afferenti al tema della salute e della sicurezza, né, nell’ottica di una lettura costituzionalmente orientata delle disposizioni in esame, può ritenersi sussistente un onere dichiarativo di costi ontologicamente inesistenti.

A maggior ragione nel caso di prestazioni aventi natura prettamente intellettuale, in cui nessuna attività è richiesta al di fuori dei locali dell’impresa prestatrice del servizio o comunque presso le sedi della stazione appaltante, stante

la riconosciuta illegittimità di clausole che obbligano i concorrenti a specificare nella propria offerta la consistenza degli oneri per la sicurezza in assenza conclamata di rischi, appare assolutamente meccanicistico e del tutto non pertinente con gli interessi sostanziali dell’Amministrazione l’applicazione di una norma basilare nel presidio di situazione giuridiche massimamente rilevanti, ma che anch’essa, anche per la sua natura centrale, va rispettata nei casi in cui sussistano quelle ragioni che è chiamata a presidiare” (Consiglio di Stato sez. V, 22.1.2014 n. 330).

I principi qui sopra espressi sono chiaramente applicabili ai servizi di brokeraggio assicurativo qualora l’attività, di ordine prettamente intellettuale, sia destinata a svolgersi in via esclusiva presso la sede della Società.

Né la complessa natura giuridica del contratto di brokeraggio assicurativo, riconducibile non solo all’attività di mediazione, ma anche quella di consulenza, vale a contraddire tale assunto posto che  anche lo

svolgimento di un’attività di intermediazione da parte del suo esecutore, mediante il compimento di operazioni di natura principalmente negoziale (…) in assenza pertanto di un’attività avente rilievo materiale, potenzialmente fonte di pericoli per i lavoratori coinvolti nella stessa(…) rientra pertanto a pieno titolo tra quelle eccezionalmente escluse dalla citata giurisprudenza del Consiglio di Stato (Sez. V, n. 5651/2015 e n. 1051/2016) dall’obbligo di indicazione degli oneri aziendali nell’offerta economica, trattandosi di servizi aventi ad oggetto un’attività prevalentemente intellettuale, nel senso chiarito dalla stessa, e quindi, in cui le prestazioni materiali sono del tutto marginali” (TAR Milano sez  IV, 21.4.2016 n. 755, conforme Consiglio di Stato, sez. V, 19.1.2017, n. 223 ) .

Si deve escludere altresì che l’entrata in vigore del nuovo Codice abbia sostanzialmente inciso su tali approdi giurisprudenziali.

Del resto anche la giurisprudenza che per prima ha avuto modo di pronunciarsi sulla nuova disposizione ha ritenuto che

in relazione alla dedotta violazione della norma di cui all’art. 95 comma 10 d.lgs. 50\2016 per mancata indicazione dei costi in materia di salute e sicurezza, pur condividendo l’impostazione di parte ricorrente circa la doverosità dell’indicazione ora imposta dalla norma, nel caso di specie l’offerta della controinteressata è stata accompagnata dalla compilazione del previsto modulo anche sul punto in questione;  considerato che, pur dinanzi ad un valore a prima vista del tutto anomalo (indicato come pari a 0), il dato formale dell’indicazione dei presunti costi sussiste, cosicchè la verifica in capo alla stazione appaltante si sposta sul versante dell’eventuale sostenibilità ed anomalia dell’offerta, non certo sul dedotto profilo formale della violazione della norma invocata” (T.A.R. Liguria-Genova, Sez.I, 2.3.2017, n. 163).

Né una diversa lettura del dettato normativo, potrebbe ritenersi costituzionalmente legittima.

Infatti laddove l’art. 95 comma 10 del D. Lgs. 50/2016 venisse intrepretato nel senso di imporre alle imprese concorrenti, a prescindere dall’oggetto della gara, di sostenere e dichiarare in una percentuale superiore allo zero oneri di sicurezza effettivamente e strutturalmente inesistenti, si porrebbe in evidente contrasto con:

(i) l’art. 41 Cost., poiché esigere il pagamento di oneri aggiuntivi non previsti per legge solo da parte di alcune imprese porrebbe un ingiustificato ostacolo al pieno dispiegamento del principio della libertà di iniziativa economica privata, impedendo che la concorrenza tra le imprese si svolga in condizioni paritarie;

(ii)  con gli art. 2 e 3 Cost. perché le norme denunciate comporterebbero un trattamento ingiustificatamente diverso tra le varie categorie di imprese (gravando unicamente le imprese attive nel settore dei contratti pubblici, ma non anche quelle che interagiscono con partner privati).

Tra l’altro si tenga presente che il fatto che la Stazione appaltante ritenga inammissibili “costi aziendali interni della sicurezza pari a 0 (zero)” (indicando quindi un valore presunto) non è neppure compatibile – dal punto di vista logico prima che giuridico – con  l’assunto per cui l’“indicazione degli oneri di sicurezza aziendali è rimessa alle singole imprese partecipanti, dato che trattasi di valutazioni soggettive rimesse alla loro esclusiva sfera valutativa. [in quanto n.d.r.] tale tipologia di oneri (…) varia da un’impresa all’altra ed è influenzata dalla singola organizzazione produttiva e dal tipo di offerta formulata da ciascuna impresa” (Adunanza plenaria 20 marzo 2015, n. 3).

 

Il broker assicurativo e gli appalti pubblici

L’attività del broker è ricompresa nella definizione di intermediazione assicurativa dettata dall’art. 106 d.lgs. 209/2005, consistente nel presentare o proporre prodotti assicurativi, o nel prestare assistenza e consulenza finalizzate a tale attività e, se previsto dall’incarico, nella conclusione dei contratti o nella collaborazione alla gestione o esecuzione, segnatamente nel caso di sinistri, dei contratti stipulati.

Come specificato dall’art. 109 d.lgs. 209/2005, il broker assicurativo si distingue dagli altri intermediari in quanto esercita un’attività volta a mettere in relazione con le compagnie, delle quali non può essere mandatario, i soggetti che intendano provvedere, con la sua collaborazione, alla copertura dei rischi. A tal fine, riceve specifici incarichi per la ricerca nel mercato e l’individuazione dei prodotti assicurativi meglio rispondenti alle esigenze dei suoi clienti.

Il broker, dunque, è essenzialmente un esperto del settore  assicurativo, al quale si rivolgono i soggetti per ottenere l’analisi, l’inquadramento e le condizioni economiche e normative migliori per la copertura dei rischi che intendono assicurare (così Fabio Amabili in Brokeraggio assicurativo: natura giuridica, obblighi e responsabilità)

Questa è la cifra distintiva propria dei broker e degli agenti, che rispetto agli altri intermediari assicurativi e ai tipici mediatori, non promuovono un singolo affare ma prima ancora la cultura assicurativa (Cass. 9836/2001 – v. qui).

Tale fattispecie atipica caratterizza l’attività del broker coi due elementi della mediazione e della consulenza. Tanto che in giurisprudenza frequente è la massima che lo individua quale mediatore qualificato, visto che la sua attività di mediazione deve essere il risultato di un’attività di assistenza e collaborazione col soggetto assicurando, parte debole del contratto, per individuarne le esigenze particolari e scegliere le condizioni migliori e più adatte (così marco Rossetti in Il diritto delle assicurazioni – vol. I – pag. 605)

La natura mista del contratto di brokeraggio, cui ormai da tempo ha aderito la giurisprudenza di legittimità, evidenzia proprio che la sua attività mediatizia è connotata da questi profili intellettuali.

Proprio per questo sempre più spesso gli enti pubblici ricorrono ai servizi dei broker, dovendo garantirsi di un’apposita e adeguata garanzia per i molteplici rischi insiti nelle attività svolte. (v. ancora così Fabio Amabili in Brokeraggio assicurativo: natura giuridica, obblighi e responsabilità

Infatti, rispetto agli altri incarichi, quelli svolti per la Pubblica Amministrazione richiedono e prevedono principalmente la prestazione intellettuale di consulenza e assistenza professionale, rispetto a quella tipica di intermediazione che invece è devoluta per legge ad apposita gara e non alla libera attività del broker.
Per gli enti pubblici il broker è chiamato soprattutto a valutare i rischi, ad assistere nell’impostazione dei programmi assicurativi necessari, e a mettere a punto i bandi di gara per la selezione degli assicuratori e la determinazione del contenuto della polizza assicurativa, oltre che ad affiancarli nella successiva fase di gestione ed esecuzione dei contratti assicurativi.
Come facilmente se ne ricava, la prestazione intellettuale prevale di gran lunga in questi casi sulla quasi assente attività di mediazione.

Quale che sia la natura del broker, commerciale o invece intellettuale, essa non ha peraltro alcuna ricaduta con riferimento ai presidi e alle misure di sicurezza.
infatti, il broker assisterà l’ente pubblico con la propria struttura, che opererà esattamente allo stesso modo che per gli altri clienti, senza che l’incarico pubblico comporti variazioni di luogo e di attività e quindi di rischio.

Il broker non deve dunque far fronte ad alcun onere di sicurezza aggiuntivo.

Di tale situazione ha preso chiaramente atto il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. V –  N. 01051/2016 ), proprio con riferimento ai broker assicurativi che svolgano la propria attività per enti pubblici ha così correttamente statuito:

 

Oggetto d’appalto è il servizio di consulenza assicurativa e brokeraggio in favore della Regione Liguria, un’attività intellettuale svolta per lo più nei locali dell’impresa prestatrice del servizio.
La consulenza assicurativa s’esaurisce in se stessa, ossia costituisce l’oggetto essenziale e (per chi riconosca la categoria concettuale) il contenuto esclusivo del contratto, senza essere comportare in via complementare, strumentale ed accessoria l’esecuzione di prestazioni materiali che espongano (ad esempio: l’attività di progettazione di oo.pp.) il personale ad eventuali rischi o pericoli.
In definitiva i servizi in questione non presentano i rischi specifici cui applicare la disposizione contenuta all’art. 87, comma 4, d.lgls n. 163/2006 e gli arresti giurisprudenziali richiamati in sentenza (Cons. St., ad. plen. 3 e 9 del 2015) che, testualmente, riguardano i costi inerenti alla sicurezza aziendale per l’esecuzione delle prestazioni dedotte nel contratto oggetto d’appalto.
Che, oltretutto, diversamente da quanto reputa la società appellata, non sono teleologicamente assimilabili ai costi intesi a garantire lo standard legale di sicurezza della sede aziendale ove i dipendenti svolgono le mansioni cui sono ordinariamente addetti.
Né l’onere dichiarativo di costi ontologicamente – ancor prima che giuridicamente – insussistenti è prescritto dall’art. 18 del capitolato speciale
.”

 

CREDITS:

Fabio Amabili in Brokeraggio assicurativo: natura giuridica, obblighi e responsabilità

Marco Rossetti, Il Diritto delle Assicurazioni, vol. I, Cedam 2011, Pag. 605

Le indennità di fine rapporto degli agenti di assicurazione

L’art. 1751 c.c. non trova applicazione tout-court per gli agenti di assicurazioni.
Per questi ultimi, infatti, visto l’art. 1753 c.c. le previsioni codicistiche trovano applicazione in tanto in quanto non derogate dalle norme corporative e dagli usi, notoriamente intesi quali Accordi Nazionali Agenti.

Cenni critici al diverso orientamento dottrinale.
Non si ritiene sul punto condivisibile la dottrina che sostiene invece l’applicazione automatica dell’art. 1751 c.c. [1]
Contrariamente a quanto da questa sostenuto, e per analogia invece con quanto avviene con la contrattazione collettiva per il lavoro subordinato, gli accordi collettivi degli agenti (di assicurazione e di commercio) vanno ritenuti quali usi o (secondo altro orientamento) sostitutivi delle norme corporative. Questo comporta, in forza dell’art. 1753 c.c., la loro prevalenza sull’art. 1751 c.c.
Non è poi vero che l’Accordo Nazionale Agenti 2003, in quanto scaduto e disdettato, non avrebbe più alcun valore o vigenza. Sul punto basta accennare alla c.d. ultrattività della contrattazione collettiva, anche qui similmente a quanto avviene per il rapporto di lavoro subordinato – vista inoltre la sua costante applicazione senza soluzione di continuità nei rapporti tra compagnie e agenti.[2]
Peraltro, va ricordato che, ad ogni buon contro, troverebbe in ogni caso applicazione l’Accordo Nazionale Agenti del 1951, che ha assunto natura ed efficacia di legge erga omnes in virtù del D.P.R. D.P.R. 18 marzo 1961 n° 387.

Il campo di applicazione dell’art. 1751 c.c. è limitato agli agenti di commercio che collocano merci.
D’altro canto, l’art. 1751 c.c. costituisce recepimento della direttiva 86/653/CEE, il cui ambito di applicazione riguarda solamente gli agenti commerciali (art. 1 comma 1); e

ai sensi della presente direttiva per «agente commerciale» si intende la persona che, in qualità di intermediario indipendente, è incaricata in maniera permanente di trattare per un’altra persona, qui di seguito chiamata «preponente», la vendita o l’acquisto di merci, ovvero di trattare e di concludere dette operazioni in nome e per conto del preponente” (comma 2).

La Corte di Giustizia CE, con l’ordinanza del 6 marzo 2003 sub 2003/C146/21, lo ha chiarito anche nella prassi applicativa e giurisprudenziale il campo operativo della citata direttiva, affermando che

gli intermediari assicurativi non rientrano nel suo ambito di applicazione”.

In conclusione, anche a voler concedere la non vigenza dell’ANA 2003, sussiste comunque una disposizione normativa tuttora vigente (il dPR 387/61), che non è stato di certo abrogato né superato dalla direttiva 86/653 né dall’art. 1751 c.c., in quanto non applicabili agli agenti assicurativi.

Insomma, sia per diritto interno (art. 1753 c.c.) sia per diritto comunitario (art. 1 D 86/653/CEE), l’art. 1751 c.c. trova applicazione solamente per gli agenti di commercio, non già per quelli di assicurazioni (che infatti vendono contratti e servizi, non già merci)[3].

 

La natura risarcitoria delle indennità di fine rapporto ANA le rende comunque trattamento di miglior favore rispetto al 1751 c.c.
In ogni caso, anche volendo applicare agli agenti assicurativi il medesimo giudizio di prevalenza che la giurisprudenza utilizza per decidere quale norma debba prevalere tra aa.ee.cc. degli agenti commercio e art. 1751 c.c., si deve prendere atto che le modalità di riconoscimento e liquidazione delle indennità di fine rapporto agli agenti di assicurazione sono da ritenersi con giudizio ex ante (cfr. Corte di Giustizia UE C-465/04 del 23 marzo 2006) come trattamento di miglior favore per tutte le ipotesi risolutive del mandato.

Ciò deriva dalla natura e struttura delle indennità di fine rapporto stabilite dall’ANA per gli agenti di assicurazione.
Dette indennità ANA2003 (così come, almeno per alcune voci, anche quelle degli accordi economici degli agenti di commercio) hanno infatti mantenuto la loro natura risarcitoria (più vantaggiosa per l’agente) anche dopo la riformulazione dell’art. 1751 c.c.
E’ proprio questa loro natura risarcitoria a renderle più vantaggiose – secondo il citato giudizio ex ante che richiede la Corte di Giustizia UE.[4]

Le indennità legali, con la novella dell’art. 1751 c.c., sono passate dall’avere natura risarcitoria all’essere invece ricondotte al sistema c.d. compensativo alla tedesca (uno tra i due sistemi previsti dalla direttiva 86/653/CEE, tra cui i legislatori nazionali potevano scegliere): per ottenerle, non è più sufficiente la sola interruzione del mandato agenziale, ma l’agente deve dimostrare di aver procurato all’ex preponente nuovi clienti e affari dai quali, anche successivamente alla cessazione del mandato, il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi. Inoltre, esse non spettano qualora il mandato sia cessato per causa dell’agente. Presupposto di queste indennità è dunque la qualità del portafoglio e del lavoro dell’agente, cui spetta l’onere della prova.

Invece, le indennità previste dalla contrattazione collettiva (ANA e, almeno in parte, aa.ee.cc.) ricalcano ancora il previgente sistema dell’art. 1751 c.c. e l’altra opzione prevista dalla direttiva 86/653/CEE, avente appunto natura risarcitoria (c.d. sistema francese, basato sulla “riparazione del danno subito” – cfr. par 3 art 17 dir. 86/653).

Tale sistema – valido non solo perché ancorato alla direttiva comunitaria ma perché più vantaggioso per l’agente (cfr. artt. 1753 e 1751 penultimo comma c.c.) – garantisce invece sempre all’agente cessato le indennità: anche nel caso di giusta causa, e senza che egli debba dimostrare che l’ex preponente ha mantenuto sostanziali vantaggi per il suo buon lavoro.
Queste indennità non sono legate alla qualità del lavoro svolto dall’agente, ma sono invece semplicemente parametrate alla quantità del suo lavoro (volume portafoglio e anzianità di servizio).
Infatti, il loro presupposto è la semplice perdita provvigionale derivante all’agente dalla cessazione del mandato. Sicché il preponente può liberarsi dal loro pagamento solo qualora dimostri che l’ex agente – o perché ne ha sviato il portafoglio a proprio vantaggio, o perché la compagnia ne ha ceduto a suo favore la paternità (ad esempio tramite la liberalizzazione) – ha avuto la possibilità di mantenere buona parte del trattamento provvigionale (trattamento che, non essendo andato perso, non può quindi generare il titolo alle indennità risarcitorie).[5]

Conclusioni.
Le indennità di fine rapporto degli agenti di assicurazione non possono essere ricondotte tout-court all’art. 1751 c.c., ma debbono tenere conto degli Accordi Nazionali di settore secondo l’art. 1753 c.c.

In ogni caso, anche per quegli elementi che si vorrebbero ricondurre per interpretazione estensiva o analogica all’art. 1751 c.c., i diversi e più vantaggiosi presupposti per il diritto alle indennità di fine rapporto per l’agente assicurativo rispetto agli altri agenti, unitamente all’inversione dell’onere probatorio che impone alla compagnia preponente una chiara e difficile dimostrazione per liberarsi del suo obbligo, portano a concludere per la prevalenza della contrattazione collettiva sulla disciplina legale.

[1] Cfr. ad es.: Saracini-Toffoletto, Il contratto di agenzia, 2014; Bertino, Il contratto di agenzia, 2016; Saracini-Toffoletto, Il contratto di agenzia, 2014; Menghi-Monda, Le indennità di risoluzione del rapporto di agenzia assicurativa tra contrattazione collettiva e disciplina legale: l’agente transfuga, in Contratto e Impresa 6/2009 1334-1348.

[2] Si veda sul punto anche la posizione di Antonio Catricalà in http://www.tuttointermediari.it/?p=14900.

[3] Cfr. A.D. Candian, Statuto speciale dell’agente di assicurazione (art. 1753 c.c.) e modifiche alla disciplina codicistica del rapporto agenziale, in Dir. Ec. Ass. 1994 n. 1.2.-2-2.; Roppo, La disciplina del contratto di agenzia assicurativa, relazione al Convegno Paradigma sull’accordo nazionale 28 luglio 1994; Cass. 9 aprile 1994, n. 3348, in Corr. Giur. 1994, p. 1368, con nota adesiva di Brizzi; Baldi-Venezia, Il contratto di agenzia, 2008 p 443 e 473-477.

[4] Va dato atto che una buona parte della giurisprudenza italiana, in materia di agenti di commercio, pur facendo proprio i principi della Corte UE applica però immotivatamente e illogicamente un giudizio ex post. Il che, a tacer d’altro, implica che ogni liquidazione effettuata secondo i crismi degli aa.ee.cc. è inevitabilmente sub iudice e mai certa.

[5] Cfr. Menghi-Monda, op. cit.

Il procuratore d’agenzia assicurativa: chi è e va iscritto al RUI?

La figura di procuratore.
Questa figura, oltre che invalsa nella prassi, è espressamente prevista dall’art. 5 ANA, ed è citata nella FAQ 1.4 Isvap (1).

La normativa non dice nulla dei suoi compiti, mentre la risposta dell’Isvap lascia intendere che la semplice nomina a procuratore non è sufficiente in sé a chiarire quali siano i suoi compiti e la sezione RUI di appartenenza.

Figure come questa, osserva l’Authority,

vanno riempite di contenuto alla luce della definizione di attività di intermediazione assicurativa di cui all’articolo 106 del Codice delle assicurazioni, all’art. 2, lettera d) del Regolamento e raffrontate all’attività in concreto esercitata, con particolare riferimento al contesto nel quale operano.”

E in effetti, così come in generale per ogni procuratore nell’ordinamento giuridico, anche per il procuratore d’agenzia il ruolo può essere riempito di vari contenuti: è l’atto di procura, infatti, che stabilisce poteri e limiti.

E, proprio in funzione della procura, il procuratore potrà:

  • non essere soggetto intermediario la cui attività vada iscritta al RUI
  • essere soggetto E
  • essere soggetto A.

In quest’ultima ipotesi rileva, nei casi di società agenziale, quali siano i poteri attribuiti con la procura all’interno dell’organizzazione societaria.

Il responsabile dell’attività d’intermediazione.
E infatti, sotto quest’altro profilo, va chiarito quali siano i soggetti che, all’interno della società agenziale, debbano essere iscritti in A.

Come ci spiega il Reg. 5 Isvap (art. 13), tali sono coloro ai quali la società ha

“affidato la responsabilità dell’attività di intermediazione ad almeno una persona fisica iscritta nella medesima sezione del registro alla quale la società chiede l’iscrizione. Nel caso in cui la responsabilità dell’attività di intermediazione sia affidata a più persone, l’obbligo di iscrizione nella medesima sezione del registro è riferito ad ognuna di esse.”

La ratio della norma è sicuramente quella di voler individuare, indicare e rendere pubblico il soggetto abilitato A, che si assuma, verso Authority Compagnia e assicurati, la responsabilità anche formale dell’operato della società.

Tant’è che questi responsabili (con ciò facendo il paio con l’art. 2 comma V ANA) vanno individuati

“nell’ambito della dirigenza, tenendo conto delle dimensioni e della complessità dell’attività svolta”.

Sarebbe limitativo fermarsi, però, al dato formale.

Come Isvap ha chiarito (cfr. FAQ V gruppo), il “Regolamento definisce come responsabile dell’attività di intermediazione di società iscritte nel registro colui al quale, nell’ambito della dirigenza, sono attribuiti poteri decisionali e che esercita funzioni di coordinamento e di controllo dell’attività di intermediazione assicurativa e/o riassicurativa svolta dalla società.
Relativamente alla nozione di ‘dirigenza’, essa va intesa con riferimento all’effettivo svolgimento di mansioni direttive: possono pertanto assumere la qualifica di responsabile anche soggetti ai quali, indipendentemente dall’inquadramento nell’organico, siano state attribuite dai competenti organi della società mansioni direttive.”

E quindi:

  • formalmente è richiesto che il responsabile sia soggetto abilitato A;
  • ma, sostanzialmente, chiunque all’interno della società svolga funzioni di coordinamento e controllo dell’attività assicurativa esercitata dalla società deve essere iscritto in A e indicato quale responsabile dell’attività d’intermediazione.

Il che ha una sua coerenza logica: chi è incaricato di gestire e coordinare lo sviluppo degli affari assicurativi è esattamente la definizione di Agente ai sensi dell’ANA (art. 2) e del codice civile (art. 1742).

Conclusioni.
Entrambe le prospettive conducono alla medesima conclusione: se il procuratore di agenzia ha, tra i suoi poteri, quello di partecipare (insieme agli agenti o responsabili dell’attività, o in loro luogo) alle decisioni e al coordinamento e controllo dell’attività assicurativa, allora dovrà (opportunamente) essere iscritto alla sezione A ed essere indicato tra i responsabili dell’attività d’intermediazione.

Qualora invece manchi questo potere di coordinamento (cioè, non lo eserciti nemmeno di fatto), allora potrà essere iscritto in E – sempre se collabora all’attività d’intermediazione esercitandola fuori dei locali agenziali.

Se non svolge alcun incarico da intermediario rilevante ai fini del RUI, non dovrà essere iscritto al registro.

Certo, nulla vieta che il procuratore d’agenzia sia un soggetto A operativo, anche se non responsabile dell’attività d’intermediazione (e quindi anche se non indicato come incaricato e anche se nei fatti non è incaricato delle scelte decisionali sull’attività d’intermediazione assicurativa).
Tuttavia, in tal caso, a meno che egli non sia anche titolare di una propria agenzia (per cui si sarebbe nell’ipotesi di libera collaborazione reciproca), si dovrebbe risolvere la questione della collaborazione tra soggetti A (che ad oggi, fuori dei casi del d.l. 179/12, non sarebbero in sé attivabili secondo il consolidato orientamento dell’Isvap/Ivass).

 

(1) www.ivass.it/operatori/intermediari/faq/regolamento-5/index.html

L’agente immobiliare può promuovere anche prodotti assicurativi?

Attualmente non esiste più il ruolo degli agenti d’affari in mediazione.

Non è più dunque necessaria l’iscrizione a un albo per poter esercitare detta attività professionale. Il soggetto ha solo l’obbligo di presentare la c.d. segnalazione certificata di inizio attività (scia).
La Scia va presentata alla Camera di commercio competente per territorio, il cui Registro Imprese/R.E.A. funge da sostituto del vecchio Ruolo.

Spetta dunque alla Camera di commercio verificare il possesso dei requisiti da parte degli esercenti l’attività, sia all’inizio dell’attività (comunicazione scia) sia durante il suo svolgimento.

Oltre agli altri presupposti professionali e personali, infatti, possono esservi anche casi d’incompatibilità con l’esercizio dell’attività di agente immobiliare (sia iniziali sia sopravvenuti).
Per quel che ci interessa, con la soppressione del ruolo sono anche stati modificati questi casi di incompatibilità.

Nello specifico, l’agente immobiliare non può esercitare nessun’altra attività, sia quale dipendente sia quale autonomo, con poche specifiche eccezioni tra cui le attività di mediatore assicurativo e creditizio.

Sull’altro versante, vigente il Codice delle assicurazioni, non vi sono attualmente preclusioni o incompatibilità a che un soggetto RUI sia anche agente immobiliare.

Dal combinato delle due discipline possiamo trarre la conclusione che il soggetto che esercita l’attività di agente immobiliare può svolgere compatibilmente anche l’attività di broker (mediatore assicurativo).

V’è invece incompatibilità tra l’esercizio dell’attività di mediazione immobiliare e l’esercizio dell’attività di agente (o subagente) assicurativo.

È importante cogliere questo primo passaggio fondamentale: è compatibile l’iscrizione contemporanea nella sezione A del RUI e nel REA quale agente di mediazione immobiliare; quel che non è compatibile è l’esercizio simultaneo delle due attività.

Questo ci aiuta a chiarire un secondo passaggio fondamentale, quello concernente l’oggetto sociale della società che non voglia precludersi a priori la possibilità di operare in ambito immobiliare e assicurativo.

Come noto, questo risulta assai spesso molto ampio e generico, senza specificazioni: ad esempio, è ricorrente che una società di intermediazione assicurativa individui, tra le varie attività, quella tipica dell’art. 109 d.lgs. 209/2005 indicandola genericamente quale attività di consulenza e assistenza in campo assicurativo e di promozioni dei prodotti. Il che, chiaramente, consente alla società di potersi iscrivere in una delle sezioni del RUI, o ad esempio di passare dalla sezione A alla B o viceversa.

Più in generale, proprio perché si caratterizza per la sua natura di impresa di mediazione (in senso lato e atecnico), una società, a fianco all’attività assicurativa, può inserire nell’oggetto sociale, come di fatto avviene nella prassi, anche altre attività di natura analoga come la mediazione finanziaria e creditizia e/o, per l’appunto, l’attività di agente in mediazione (merceologica o immobiliare).

Ora, per quanto sopra visto, non solo un oggetto sociale che preveda diverse attività di mediazione in campi distinti non porta in sé alcuna incompatibilità generale (nel nostro esempio: la società potrebbe svolgere contemporaneamente sia l’attività di broker assicurativo sia di agente immobiliare).

Ma, anche con specifico riferimento alla contemporanea iscrizione al RUI quale agente assicurativo e al REA quale agente immobiliare, questo non è sufficiente in sé a integrare un’ipotesi d’incompatibilità. Come detto, infatti, ben può un soggetto essere iscritto a entrambi i registri simultaneamente: l’importante è che non eserciti contestualmente le due attività.

Insomma, è lecito e compatibile che l’oggetto sociale riporti contemporaneamente l’attività di intermediario assicurativo (anche qualora in via ipotetica indicasse espressamente la qualifica di agente) e l’attività di agente d’affari in mediazione.

Ricapitolando:

  1. la normativa assicurativa non prevede incompatibilità tra iscrizione al RUI e iscrizione al REA quale agente immobiliare;
  2. la normativa sulla mediazione d’affari non prevede incompatibilità tra iscrizione al REA e iscrizione al RUI;
  3. la normativa sulla mediazione d’affari prevede invece un’incompatibilità tra l’esercizio di intermediazione assicurativa e l’esercizio di agente di mediazione immobiliare – con l’eccezione dell’attività di broker (che è invece compatibile);
  4. l’oggetto sociale può affiancare attività di mediazione nell’uno e nell’altro settore: ciò che rileva, infatti, è eventualmente l’esercizio simultaneo di tali attività;
  5. competente a vigilare sui requisiti, e quindi anche sull’assenza di incompatibilità, dell’agente d’affari in mediazione è la Camera di commercio;
  6. la Camera di commercio è l’ente competente per l’iscrizione di ogni attività (inclusa quella assicurativa) al Registro delle imprese.

Ne possiamo trarre la conclusione che è la Camera di commercio ad essere l’ente competente a verificare la sussistenza e persistenza dei requisiti di iscrizione e compatibilità al REA quale agente di mediazione immobiliare; oltre ad essere l’unico ente che, registrando ogni tipologia d’impresa, possa vagliare eventuali incompatibilità tra due attività di una medesima società registrata presso i suoi elenchi.

Collocare polizze a San Marino

CONDIZIONI DI OPERATIVITÀ PER L’INTERMEDIARIO:
(a) autorizzazione della Banca Centrale di San Marino, per ottenere la quale occorre presentare apposita domanda corredata di:
(b) attestazione Ivass che certifichi la sua operatività in Italia e che nulla osta all’esercizio anche in San Marino (ai sensi dell’art. 116 d.lgs. 209/2005, l’intermediario italiano che voglia operare all’estero deve darne comunicazione preventiva all’Ivass);
(c) documentazione che attesti di operare come agente di una compagnia di assicurazioni a sua volta autorizzata ad operare in San Marino (v. sotto);
(d) programma di attività che contenga le seguenti informazioni:
(i) tipologia dei prodotti assicurativi che s’intende collocare a San Marino
(ii) tipologia di clientela presso cui s’intendono collocare tali prodotti
(iii) modalità con cui s’intende svolgere l’attività (es: agente, broker, ecc), specificando i “collaboratori” (non solo chi aiuta in agenzia ma soprattutto le imprese mandanti o altri intermediari)
(iv) indicazione di una sede nel territorio sammarinese, presso la quale sia conservata la documentazione relativa all’attività svolta in San Marino.
La Banca Centrale comunica accettazione o diniego entro 90 giorni dalla presentazione della domanda.

Perché un intermediario possa collocare prodotti a San Marino, non è sufficiente che sia autorizzato lui, ma è necessario che anche la compagnia abbia l’autorizzazione a vendere prodotti e servizi.

CONDIZIONI DI OPERATIVITÀ PER L’IMPRESA:
(a) autorizzazione della Banca Centrale di San Marino, ai quali fini la Banca valuta e verifica che:
(b) la compagnia abbia informato la propria autorità di vigilanza dell’intenzione di operare a San Marino (cfr. art. 22 d.lgs. 209/2005);
(c) Ivass non abbia opposto impedimenti (cfr. art. 22 comma II d.lgs. 209/2005) a che la compagnia possa operare in San Marino;
(d) Ivass abbia certificato che la compagnia risponde ai requisiti di solvibilità previsti dal nostro ordinamento;
(e) la compagnia collochi prodotti non direttamente, ma solo tramite intermediari autorizzati a operare in San Marino.
La Banca Centrale comunica accettazione o diniego entro 30 giorni dalla presentazione della domanda.

I broker e i documenti da conservare

La lettera c) comma 4 art. 120 del d.lgs. 209/2005 (Codice delle assicurazioni) assegna all’Autorità di Vigilanza di prevedere le modalità con cui tutti gli intermediari abilitati debbono conservare la documentazione concernente l’attività svolta.

La disciplina attuativa è contenuta all’art. 57 del Reg. 5, e prevede che 

gli intermediari debbano conservare i documenti relativi agli incarichi d’intermediazione e all’informativa pre- e contrattuale.

Ai fini di quanto segue, è opportuno annotare che parte di questa documentazione è di pertinenza propria dell’intermediario, mentre un’altra parte viene compilata e consegnata dall’intermediario per conto della preponente.

L’obbligo di conservazione è di cinque anni – e questo termine (come specificato da Isvap negli esiti delle pubbliche consultazioni) decorre dalla data di cessazione degli effetti dei contratti assicurativi cui la documentazione si riferisce.
Tale obbligo viene meno qualora, durante il quinquennio, il rapporto d’intermediazione cessi e la documentazione venga riconsegnata all’impresa.

Per completezza, va ricordato che la conservazione della documentazione può avvenire non solo tramite gli originali cartacei, ma anche mediante supporti digitali, ottici, magnetici o altra forma equivalente.

Con riferimento alla documentazione concernente i contratti conclusi tramite gli intermediari e le proposte di assicurazione e gli altri documenti sottoscritti dai contraenti, possiamo immaginare per i broker tre diverse situazioni:

  1. il broker agisce (solo) su incarico del cliente privato (assicurato), e conclude il contratto con un agente o direttamente con la direzione generale o la gerenza di una compagnia;
  2. il broker ha un accordo di collaborazione con un agente;
  3. il broker ha un accordo di distribuzione con la Compagnia.

Nei casi indicati ai punto 1 e 2 il broker osserverà l’obbligo di conservazione della documentazione in favore del solo cliente assicurato, mentre l’agente (o la direzione generale o gerenza) della compagnia avrà a suo carico di osservare la prescrizione in favore/per parte della compagnia.

Nell’ipotesi 3 il broker, che propone i contratti della compagnia assicuratrice in virtù dell’accordo di distribuzione, si trova verso la compagnia in una situazione del tutto paragonabile (ai fini della conservazione della documentazione) a quella di un agente.
Pertanto, non solo dovrà conservare la documentazione di propria pertinenza (ad esempio: modelli 7A e 7B); ma dovrà conservare presso di sé anche le proposte di assicurazione e gli altri documenti sottoscritti dai clienti, nonché la polizza (se è prassi della compagnia inviarla al broker anziché direttamente all’assicurato, o comunque se Voi ne inviate una copia anche al broker oltre all’originale direttamente all’assicurato).

Questa soluzione appare conforme alle osservazioni effettuate da Isvap in sede di pubblicazione degli esiti di consultazione relativi al Reg. 5: l’Authority, infatti, tra tutti gli intermediari ha espressamente escluso dagli obblighi di conservazione solo i produttori diretti di cui alla sezione C; e ha ribadito che tali oneri incombono invece su tutti gli altri soggetti del RUI (e quindi non solo A e B ma anche D ed E) quando i contratti siano conclusi per il loro tramite.

Va da sé che al momento di cessazione dell’accordo di distribuzione tra compagnia e broker, quest’ultimo sarà liberato dagli obblighi di conservazione con la riconsegna della documentazione alla compagnia.

L’agente di assicurazione: l’assetto professionale e imprenditoriale che lo contraddistingue dagli agenti di commercio

L’agente di assicurazioni si pone come figura a sé stante nel panorama dei rapporti agenziali e dei soggetti che ne sono mandatari.

Tale peculiarità è dovuta al sistema distributivo in campo assicurativo, da sempre denotato da caratteristiche proprie che lo contraddistinguono dagli agenti di commercio (in senso lato).
E questa specificità economico-sociale è stata sin da subito recepita anche nella specifica disciplina giuridica.

Già all’epoca dell’entrata in vigore del codice civile, il legislatore ha infatti statuito che le regole, valevoli generalmente (e in alcuni casi inderogabilmente) per tutti gli altri tipi di agenzia secondo gli artt. 1742 e ss., trovino invece applicazione per l’agente di assicurazioni solamente qualora gli usi di settore non stabiliscano altrimenti.

Tale disposizione, cristallizzata nell’art. 1753 c.c., riconosce dunque la peculiarità di tale figura, denotata non solo da regole collettive distinte da tutti gli altri agenti (Accordo Nazionale Agenti per il settore assicurativo, e Accordi Economici Collettivi che valgono per tutti gli altri agenti; autonomia previdenziale rispetto all’Enasarco cui debbono aderire tutti gli altri agenti); ma anche dalla presenza di una norma di legge tutt’ora in vigore (il D.P.R. 387/1961), che introduce una disciplina per alcuni ma salienti aspetti distinta rispetto alla regolamentazione generale.

E di certo tale situazione distintiva non è venuta meno nemmeno in seguito alla revisione di alcune norme del codice civile in materia di agenzia, dovute al recepimento e all’applicazione delle novelle di fonte comunitaria. Infatti a sua volta, a livello europeo, l’agente di assicurazioni è stato disciplinato in maniera autonoma e con una legislazione specifica (negli aspetti principali codificata in Italia tramite il d.lgs. 209/2005, il c.d. Codice delle assicurazioni, e la regolamentazione Isvap-Ivass).

Ma quali sono queste peculiarità? Sono quelle che denotano l’agente di assicurazioni quale imprenditore professionale qualificato, che come tale si comporta contrattualmente – cioè economicamente e giuridicamente – sia verso la compagnia preponente sia verso i terzi (ad esempio il cliente-assicurato).

La direttiva 2002/92/CE impone che l’agente di assicurazioni sia dotato di un’idonea struttura di mezzi e uomini da lui organizzata.

È del resto il medesimo concetto che troviamo all’art. 1 ANA 2003, dove l’agente di assicurazioni viene definito come colui che “mette a disposizione del pubblico la propria competenza tecnica, svolge stabilmente in forma professionale ed autonoma l’incarico di provvedere a proprio rischio e spese (….) alla gestione e allo sviluppo degli affari di una agenzia”.

La giurisprudenza ha colto precisamente questa cifra distintiva, tanto da enunciare il principio per il quale, a differenza degli altri agenti, quello di assicurazioni “non promuove un singolo affare ma prima ancora la cultura assicurativa” (Cass. 9386/2001).

Del resto, secondo l’art. 106 d.lgs. 209/2005 l’attività d’intermediazione assicurativa dell’agente (come degli altri soggetti qualificati) ricomprende anche quelle attività rivolte al cliente per fornirgli quel sostanziale aiuto qualificato finalizzato non solo alla scelta e alla conclusione del contratto, anzi prescindendo da tale momento: attività che sono funzionali alla gestione del contratto assicurativo, ad esempio in caso di sinistro.

Con ciò, è evidente che l’attività propria dell’agente di assicurazioni non necessariamente è la promozione e il collocamento dei prodotti della preponente.

Anche per questo la  normativa di settore (codice delle assicurazioni e autorità di vigilanza) pone alcune regole di condotta direttamente ed esclusivamente in capo all’agente, in via disgiunta e autonoma rispetto alla mandante (ed anzi, a tutela di questa, oltre che del cliente). Viene così delineata una sfera di responsabilità qualificata, propria ed esclusiva dell’agente.

L’agente di assicurazioni è dunque un professionista dotato di una struttura organizzativa autonoma, della quale risponde personalmente verso i terzi, verso la mandante e verso l’autorità di vigilanza.

Questa autonomia imprenditoriale la si coglie leggendo l’art. 119 d.lgs. 209/2005, che disciplina la responsabilità degli operatori del mercato assicurativo per i fatti dei propri collaboratori. Compagnia e agente sono posti sullo stesso piano: entrambi rispondono per i fatti dei loro collaboratori iscritti nelle altre sezioni del RUI; mentre non v’è nessuna responsabilità della compagnia per i fatti del proprio agente.

Tale autonomia giuridica ha significato anche l’introduzione del divieto di monomandato in favore della preponente nei rami danni; e la possibilità per l’agente di collaborare liberamente, sia nei rami danni che nel ramo vita e senza il placet della preponente, con altri intermediari che siano mandatari di altre compagnie. Giuridicamente questo ha sancito la definitiva fine dell’integrazione dell’agente di assicurazioni nella rete distributiva della compagnia.

L’insieme di tutti questi elementi colloca l’agente di assicurazioni al di fuori dell’alveo della parasubordinazione definito dall’art. 409 c.p.c., e al di fuori del cono d’ombra delineato dall’art. 2049 c.c. che pone l’azione del preposto nel rischio d’impresa e nella sfera di responsabilità del preponente.

L’agente di assicurazioni è, in definitiva, un imprenditore commerciale ai sensi dell’art. 2195 c.c. punto 2.
E, pertanto, si colloca in un rapporto giuridicamente paritario con la compagnia preponente: sono due imprenditori, reciprocamente autonomi e ciascuno dei quali responsabile della propria organizzazione, il cui contratto di agenzia si sostanzia in un contratto di distribuzione, o meglio ancora (non essendoci acquisto da parte del distributore dei beni distribuiti) di un contratto in materia di distribuzione.

E infatti – chiudendo così il cerchio e tornando alla disciplina collettiva di settore – l’art. 2 ANA 2003 delinea l’agente come colui che provvede a proprio rischio e spese, in via professionale, alla gestione e allo sviluppo dell’agenzia (cioè della propria impresa), agendo (in nome e) per conto di una compagnia; ma anche – si ricordi l’art. 106 d.lgs. 209/2005 – ponendo in essere attività di consulenza e assistenza in favore dei clienti, che possono prescindere dal collocamento di un prodotto per conto della preponente.

L’atto di agire per conto della compagnia, e quindi con riferimento alle attività che consistono nella promozione e nell’eventuale collocamento e gestione del prodotto assicurativo, è connotato (come noto) da uno specifico rapporto di fiducia, che fonda il contratto agenziale. Tanto è vero che la prassi (sia della disciplina collettiva sia della giurisprudenza) è quella di utilizzare, nella fase patologica del rapporto, la locuzione di “giusta causa”. Tale locuzione è presa in prestito dal mondo del lavoro subordinato. E tuttavia non va confusa e identificata con questa.

Da sempre, e sempre più, la giurisprudenza ha specificato che, al contrario della giusta causa del lavoro subordinato dove a prevalere è l’elemento soggettivo del fatto imputato al lavoratore, nel caso dell’agente ciò che rileva è invece l’elemento oggettivo. L’intuitus personae, dunque, e cioè il rapporto fiduciario, mentre nel lavoratore va inteso come la possibilità di fare affidamento sulla sua prestazione lavorativa; nel caso dell’agente va inteso come possibilità di farvi affidamento quale imprenditore in grado di gestire la propria azienda (l’agenzia) in maniera tale che questa adempia bene al mandato agenziale e non leda il nome e gli interessi della preponente.

Insomma: mentre il lavoratore risponde solo di se stesso, quale parte dell’organigramma che è il datore di lavoro a organizzare accollandosene quale imprenditore il rischio e la responsabilità ultima; l’agente, invece, risponde ‘da pari’, da imprenditore a imprenditore, e la sua esecuzione del contratto è quella di chi si assume in prima persona il rischio d’impresa e la relativa responsabilità verso la mandante e verso i terzi.

Questo vale tanto più per l’agente di assicurazioni, dal momento che, lungi dall’alveo della parasubordinazione e quindi della parziale analogia col lavoratore subordinato, è un imprenditore commerciale e un professionista – e a tale stregua la grave inadempienza dell’art. 1751 c.c. va valutata in base alle prestazioni sua e della sua organizzazione.

 

credits:
PAOLOEFISIO CORRIAS, Contratto di agenzia o contratti di agenzia? Alcuni spunti di riflessione, in Resp. civ. e prev., fasc. 1, 2012, pag. 0008B

ELISABETTA PIRAS, Il contratto di agenzia assicurativa, in Resp. civ. e prev., fasc. 12, 2011, pag. 2608B

GIUSEPPE SANTORO-PASSARELLI, Dal contratto d’opera al lavoro autonomo economicamente dipendente, attraverso il lavoro a progetto, in Riv. it. dir. lav., fasc. 4, 2004, pag. 543

FAUSTO MARCHIONNI, Note conclusive al Convegno Cesifin “Responsabilità dell’intermediario assicurativo”, Firenze, Palazzo Incontri, 4 luglio 2003

DELFINA BONI, Recenti sviluppi in tema di attuazione del diritto comunitario nell’ordinamento italiano, in Dir. Un. Eur., fasc. 4, 2001, pag. 641