Le indennità di fine rapporto degli agenti di assicurazione

L’art. 1751 c.c. non trova applicazione tout-court per gli agenti di assicurazioni.
Per questi ultimi, infatti, visto l’art. 1753 c.c. le previsioni codicistiche trovano applicazione in tanto in quanto non derogate dalle norme corporative e dagli usi, notoriamente intesi quali Accordi Nazionali Agenti.

Cenni critici al diverso orientamento dottrinale.
Non si ritiene sul punto condivisibile la dottrina che sostiene invece l’applicazione automatica dell’art. 1751 c.c. [1]
Contrariamente a quanto da questa sostenuto, e per analogia invece con quanto avviene con la contrattazione collettiva per il lavoro subordinato, gli accordi collettivi degli agenti (di assicurazione e di commercio) vanno ritenuti quali usi o (secondo altro orientamento) sostitutivi delle norme corporative. Questo comporta, in forza dell’art. 1753 c.c., la loro prevalenza sull’art. 1751 c.c.
Non è poi vero che l’Accordo Nazionale Agenti 2003, in quanto scaduto e disdettato, non avrebbe più alcun valore o vigenza. Sul punto basta accennare alla c.d. ultrattività della contrattazione collettiva, anche qui similmente a quanto avviene per il rapporto di lavoro subordinato – vista inoltre la sua costante applicazione senza soluzione di continuità nei rapporti tra compagnie e agenti.[2]
Peraltro, va ricordato che, ad ogni buon contro, troverebbe in ogni caso applicazione l’Accordo Nazionale Agenti del 1951, che ha assunto natura ed efficacia di legge erga omnes in virtù del D.P.R. D.P.R. 18 marzo 1961 n° 387.

Il campo di applicazione dell’art. 1751 c.c. è limitato agli agenti di commercio che collocano merci.
D’altro canto, l’art. 1751 c.c. costituisce recepimento della direttiva 86/653/CEE, il cui ambito di applicazione riguarda solamente gli agenti commerciali (art. 1 comma 1); e

ai sensi della presente direttiva per «agente commerciale» si intende la persona che, in qualità di intermediario indipendente, è incaricata in maniera permanente di trattare per un’altra persona, qui di seguito chiamata «preponente», la vendita o l’acquisto di merci, ovvero di trattare e di concludere dette operazioni in nome e per conto del preponente” (comma 2).

La Corte di Giustizia CE, con l’ordinanza del 6 marzo 2003 sub 2003/C146/21, lo ha chiarito anche nella prassi applicativa e giurisprudenziale il campo operativo della citata direttiva, affermando che

gli intermediari assicurativi non rientrano nel suo ambito di applicazione”.

In conclusione, anche a voler concedere la non vigenza dell’ANA 2003, sussiste comunque una disposizione normativa tuttora vigente (il dPR 387/61), che non è stato di certo abrogato né superato dalla direttiva 86/653 né dall’art. 1751 c.c., in quanto non applicabili agli agenti assicurativi.

Insomma, sia per diritto interno (art. 1753 c.c.) sia per diritto comunitario (art. 1 D 86/653/CEE), l’art. 1751 c.c. trova applicazione solamente per gli agenti di commercio, non già per quelli di assicurazioni (che infatti vendono contratti e servizi, non già merci)[3].

 

La natura risarcitoria delle indennità di fine rapporto ANA le rende comunque trattamento di miglior favore rispetto al 1751 c.c.
In ogni caso, anche volendo applicare agli agenti assicurativi il medesimo giudizio di prevalenza che la giurisprudenza utilizza per decidere quale norma debba prevalere tra aa.ee.cc. degli agenti commercio e art. 1751 c.c., si deve prendere atto che le modalità di riconoscimento e liquidazione delle indennità di fine rapporto agli agenti di assicurazione sono da ritenersi con giudizio ex ante (cfr. Corte di Giustizia UE C-465/04 del 23 marzo 2006) come trattamento di miglior favore per tutte le ipotesi risolutive del mandato.

Ciò deriva dalla natura e struttura delle indennità di fine rapporto stabilite dall’ANA per gli agenti di assicurazione.
Dette indennità ANA2003 (così come, almeno per alcune voci, anche quelle degli accordi economici degli agenti di commercio) hanno infatti mantenuto la loro natura risarcitoria (più vantaggiosa per l’agente) anche dopo la riformulazione dell’art. 1751 c.c.
E’ proprio questa loro natura risarcitoria a renderle più vantaggiose – secondo il citato giudizio ex ante che richiede la Corte di Giustizia UE.[4]

Le indennità legali, con la novella dell’art. 1751 c.c., sono passate dall’avere natura risarcitoria all’essere invece ricondotte al sistema c.d. compensativo alla tedesca (uno tra i due sistemi previsti dalla direttiva 86/653/CEE, tra cui i legislatori nazionali potevano scegliere): per ottenerle, non è più sufficiente la sola interruzione del mandato agenziale, ma l’agente deve dimostrare di aver procurato all’ex preponente nuovi clienti e affari dai quali, anche successivamente alla cessazione del mandato, il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi. Inoltre, esse non spettano qualora il mandato sia cessato per causa dell’agente. Presupposto di queste indennità è dunque la qualità del portafoglio e del lavoro dell’agente, cui spetta l’onere della prova.

Invece, le indennità previste dalla contrattazione collettiva (ANA e, almeno in parte, aa.ee.cc.) ricalcano ancora il previgente sistema dell’art. 1751 c.c. e l’altra opzione prevista dalla direttiva 86/653/CEE, avente appunto natura risarcitoria (c.d. sistema francese, basato sulla “riparazione del danno subito” – cfr. par 3 art 17 dir. 86/653).

Tale sistema – valido non solo perché ancorato alla direttiva comunitaria ma perché più vantaggioso per l’agente (cfr. artt. 1753 e 1751 penultimo comma c.c.) – garantisce invece sempre all’agente cessato le indennità: anche nel caso di giusta causa, e senza che egli debba dimostrare che l’ex preponente ha mantenuto sostanziali vantaggi per il suo buon lavoro.
Queste indennità non sono legate alla qualità del lavoro svolto dall’agente, ma sono invece semplicemente parametrate alla quantità del suo lavoro (volume portafoglio e anzianità di servizio).
Infatti, il loro presupposto è la semplice perdita provvigionale derivante all’agente dalla cessazione del mandato. Sicché il preponente può liberarsi dal loro pagamento solo qualora dimostri che l’ex agente – o perché ne ha sviato il portafoglio a proprio vantaggio, o perché la compagnia ne ha ceduto a suo favore la paternità (ad esempio tramite la liberalizzazione) – ha avuto la possibilità di mantenere buona parte del trattamento provvigionale (trattamento che, non essendo andato perso, non può quindi generare il titolo alle indennità risarcitorie).[5]

Conclusioni.
Le indennità di fine rapporto degli agenti di assicurazione non possono essere ricondotte tout-court all’art. 1751 c.c., ma debbono tenere conto degli Accordi Nazionali di settore secondo l’art. 1753 c.c.

In ogni caso, anche per quegli elementi che si vorrebbero ricondurre per interpretazione estensiva o analogica all’art. 1751 c.c., i diversi e più vantaggiosi presupposti per il diritto alle indennità di fine rapporto per l’agente assicurativo rispetto agli altri agenti, unitamente all’inversione dell’onere probatorio che impone alla compagnia preponente una chiara e difficile dimostrazione per liberarsi del suo obbligo, portano a concludere per la prevalenza della contrattazione collettiva sulla disciplina legale.

[1] Cfr. ad es.: Saracini-Toffoletto, Il contratto di agenzia, 2014; Bertino, Il contratto di agenzia, 2016; Saracini-Toffoletto, Il contratto di agenzia, 2014; Menghi-Monda, Le indennità di risoluzione del rapporto di agenzia assicurativa tra contrattazione collettiva e disciplina legale: l’agente transfuga, in Contratto e Impresa 6/2009 1334-1348.

[2] Si veda sul punto anche la posizione di Antonio Catricalà in http://www.tuttointermediari.it/?p=14900.

[3] Cfr. A.D. Candian, Statuto speciale dell’agente di assicurazione (art. 1753 c.c.) e modifiche alla disciplina codicistica del rapporto agenziale, in Dir. Ec. Ass. 1994 n. 1.2.-2-2.; Roppo, La disciplina del contratto di agenzia assicurativa, relazione al Convegno Paradigma sull’accordo nazionale 28 luglio 1994; Cass. 9 aprile 1994, n. 3348, in Corr. Giur. 1994, p. 1368, con nota adesiva di Brizzi; Baldi-Venezia, Il contratto di agenzia, 2008 p 443 e 473-477.

[4] Va dato atto che una buona parte della giurisprudenza italiana, in materia di agenti di commercio, pur facendo proprio i principi della Corte UE applica però immotivatamente e illogicamente un giudizio ex post. Il che, a tacer d’altro, implica che ogni liquidazione effettuata secondo i crismi degli aa.ee.cc. è inevitabilmente sub iudice e mai certa.

[5] Cfr. Menghi-Monda, op. cit.

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