Le indennità di fine rapporto degli agenti di assicurazione

L’art. 1751 c.c. non trova applicazione tout-court per gli agenti di assicurazioni.
Per questi ultimi, infatti, visto l’art. 1753 c.c. le previsioni codicistiche trovano applicazione in tanto in quanto non derogate dalle norme corporative e dagli usi, notoriamente intesi quali Accordi Nazionali Agenti.

Cenni critici al diverso orientamento dottrinale.
Non si ritiene sul punto condivisibile la dottrina che sostiene invece l’applicazione automatica dell’art. 1751 c.c. [1]
Contrariamente a quanto da questa sostenuto, e per analogia invece con quanto avviene con la contrattazione collettiva per il lavoro subordinato, gli accordi collettivi degli agenti (di assicurazione e di commercio) vanno ritenuti quali usi o (secondo altro orientamento) sostitutivi delle norme corporative. Questo comporta, in forza dell’art. 1753 c.c., la loro prevalenza sull’art. 1751 c.c.
Non è poi vero che l’Accordo Nazionale Agenti 2003, in quanto scaduto e disdettato, non avrebbe più alcun valore o vigenza. Sul punto basta accennare alla c.d. ultrattività della contrattazione collettiva, anche qui similmente a quanto avviene per il rapporto di lavoro subordinato – vista inoltre la sua costante applicazione senza soluzione di continuità nei rapporti tra compagnie e agenti.[2]
Peraltro, va ricordato che, ad ogni buon contro, troverebbe in ogni caso applicazione l’Accordo Nazionale Agenti del 1951, che ha assunto natura ed efficacia di legge erga omnes in virtù del D.P.R. D.P.R. 18 marzo 1961 n° 387.

Il campo di applicazione dell’art. 1751 c.c. è limitato agli agenti di commercio che collocano merci.
D’altro canto, l’art. 1751 c.c. costituisce recepimento della direttiva 86/653/CEE, il cui ambito di applicazione riguarda solamente gli agenti commerciali (art. 1 comma 1); e

ai sensi della presente direttiva per «agente commerciale» si intende la persona che, in qualità di intermediario indipendente, è incaricata in maniera permanente di trattare per un’altra persona, qui di seguito chiamata «preponente», la vendita o l’acquisto di merci, ovvero di trattare e di concludere dette operazioni in nome e per conto del preponente” (comma 2).

La Corte di Giustizia CE, con l’ordinanza del 6 marzo 2003 sub 2003/C146/21, lo ha chiarito anche nella prassi applicativa e giurisprudenziale il campo operativo della citata direttiva, affermando che

gli intermediari assicurativi non rientrano nel suo ambito di applicazione”.

In conclusione, anche a voler concedere la non vigenza dell’ANA 2003, sussiste comunque una disposizione normativa tuttora vigente (il dPR 387/61), che non è stato di certo abrogato né superato dalla direttiva 86/653 né dall’art. 1751 c.c., in quanto non applicabili agli agenti assicurativi.

Insomma, sia per diritto interno (art. 1753 c.c.) sia per diritto comunitario (art. 1 D 86/653/CEE), l’art. 1751 c.c. trova applicazione solamente per gli agenti di commercio, non già per quelli di assicurazioni (che infatti vendono contratti e servizi, non già merci)[3].

 

La natura risarcitoria delle indennità di fine rapporto ANA le rende comunque trattamento di miglior favore rispetto al 1751 c.c.
In ogni caso, anche volendo applicare agli agenti assicurativi il medesimo giudizio di prevalenza che la giurisprudenza utilizza per decidere quale norma debba prevalere tra aa.ee.cc. degli agenti commercio e art. 1751 c.c., si deve prendere atto che le modalità di riconoscimento e liquidazione delle indennità di fine rapporto agli agenti di assicurazione sono da ritenersi con giudizio ex ante (cfr. Corte di Giustizia UE C-465/04 del 23 marzo 2006) come trattamento di miglior favore per tutte le ipotesi risolutive del mandato.

Ciò deriva dalla natura e struttura delle indennità di fine rapporto stabilite dall’ANA per gli agenti di assicurazione.
Dette indennità ANA2003 (così come, almeno per alcune voci, anche quelle degli accordi economici degli agenti di commercio) hanno infatti mantenuto la loro natura risarcitoria (più vantaggiosa per l’agente) anche dopo la riformulazione dell’art. 1751 c.c.
E’ proprio questa loro natura risarcitoria a renderle più vantaggiose – secondo il citato giudizio ex ante che richiede la Corte di Giustizia UE.[4]

Le indennità legali, con la novella dell’art. 1751 c.c., sono passate dall’avere natura risarcitoria all’essere invece ricondotte al sistema c.d. compensativo alla tedesca (uno tra i due sistemi previsti dalla direttiva 86/653/CEE, tra cui i legislatori nazionali potevano scegliere): per ottenerle, non è più sufficiente la sola interruzione del mandato agenziale, ma l’agente deve dimostrare di aver procurato all’ex preponente nuovi clienti e affari dai quali, anche successivamente alla cessazione del mandato, il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi. Inoltre, esse non spettano qualora il mandato sia cessato per causa dell’agente. Presupposto di queste indennità è dunque la qualità del portafoglio e del lavoro dell’agente, cui spetta l’onere della prova.

Invece, le indennità previste dalla contrattazione collettiva (ANA e, almeno in parte, aa.ee.cc.) ricalcano ancora il previgente sistema dell’art. 1751 c.c. e l’altra opzione prevista dalla direttiva 86/653/CEE, avente appunto natura risarcitoria (c.d. sistema francese, basato sulla “riparazione del danno subito” – cfr. par 3 art 17 dir. 86/653).

Tale sistema – valido non solo perché ancorato alla direttiva comunitaria ma perché più vantaggioso per l’agente (cfr. artt. 1753 e 1751 penultimo comma c.c.) – garantisce invece sempre all’agente cessato le indennità: anche nel caso di giusta causa, e senza che egli debba dimostrare che l’ex preponente ha mantenuto sostanziali vantaggi per il suo buon lavoro.
Queste indennità non sono legate alla qualità del lavoro svolto dall’agente, ma sono invece semplicemente parametrate alla quantità del suo lavoro (volume portafoglio e anzianità di servizio).
Infatti, il loro presupposto è la semplice perdita provvigionale derivante all’agente dalla cessazione del mandato. Sicché il preponente può liberarsi dal loro pagamento solo qualora dimostri che l’ex agente – o perché ne ha sviato il portafoglio a proprio vantaggio, o perché la compagnia ne ha ceduto a suo favore la paternità (ad esempio tramite la liberalizzazione) – ha avuto la possibilità di mantenere buona parte del trattamento provvigionale (trattamento che, non essendo andato perso, non può quindi generare il titolo alle indennità risarcitorie).[5]

Conclusioni.
Le indennità di fine rapporto degli agenti di assicurazione non possono essere ricondotte tout-court all’art. 1751 c.c., ma debbono tenere conto degli Accordi Nazionali di settore secondo l’art. 1753 c.c.

In ogni caso, anche per quegli elementi che si vorrebbero ricondurre per interpretazione estensiva o analogica all’art. 1751 c.c., i diversi e più vantaggiosi presupposti per il diritto alle indennità di fine rapporto per l’agente assicurativo rispetto agli altri agenti, unitamente all’inversione dell’onere probatorio che impone alla compagnia preponente una chiara e difficile dimostrazione per liberarsi del suo obbligo, portano a concludere per la prevalenza della contrattazione collettiva sulla disciplina legale.

[1] Cfr. ad es.: Saracini-Toffoletto, Il contratto di agenzia, 2014; Bertino, Il contratto di agenzia, 2016; Saracini-Toffoletto, Il contratto di agenzia, 2014; Menghi-Monda, Le indennità di risoluzione del rapporto di agenzia assicurativa tra contrattazione collettiva e disciplina legale: l’agente transfuga, in Contratto e Impresa 6/2009 1334-1348.

[2] Si veda sul punto anche la posizione di Antonio Catricalà in http://www.tuttointermediari.it/?p=14900.

[3] Cfr. A.D. Candian, Statuto speciale dell’agente di assicurazione (art. 1753 c.c.) e modifiche alla disciplina codicistica del rapporto agenziale, in Dir. Ec. Ass. 1994 n. 1.2.-2-2.; Roppo, La disciplina del contratto di agenzia assicurativa, relazione al Convegno Paradigma sull’accordo nazionale 28 luglio 1994; Cass. 9 aprile 1994, n. 3348, in Corr. Giur. 1994, p. 1368, con nota adesiva di Brizzi; Baldi-Venezia, Il contratto di agenzia, 2008 p 443 e 473-477.

[4] Va dato atto che una buona parte della giurisprudenza italiana, in materia di agenti di commercio, pur facendo proprio i principi della Corte UE applica però immotivatamente e illogicamente un giudizio ex post. Il che, a tacer d’altro, implica che ogni liquidazione effettuata secondo i crismi degli aa.ee.cc. è inevitabilmente sub iudice e mai certa.

[5] Cfr. Menghi-Monda, op. cit.

Spendita dei requisiti tecnico-economici della casa madre estera e oneri dichiarativi di cui all’articolo 38 del codice dei contratti per le società assicurative

 

Consiglio di Stato, sez. III, 22 gennaio 2015, n. 226

Nel caso in cui una società assicurativa di diritto estero con sede secondaria in Italia partecipi ad una gara pubblica facendo valere i requisiti tecnico-economici (fatturato, capacità tecnica) propri dell’intera società, e quindi anche della casa madre straniera,  gli organi rappresentativi della sede estera non sono esenti dagli obblighi dichiarativi di cui all’art. 38, comma 1 del d.lgs. 163/2006.

 Anche a voler ammettere che dalle norme in materia assicurativa discenda una completa autonomia operativa della sede secondaria, ciò non può comportare, una sostanziale disapplicazione della disciplina dell’evidenza pubblica stante l’unitarietà dell’assetto societario, o comunque lo stretto collegamento tra casa madre e sede secondaria.

di Rosalba Colasuonno, avvocato

Questi i principi sanciti dal Consiglio di Stato, Sez. III, con sentenza del 22 gennaio 2015, n. 226.

Nella vicenda in esame una società di diritto francese con sede secondaria in Italia ha presentato offerta in una procedura aperta  per l’affidamento, con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, della convenzione per la polizza di tutela sanitaria “grandi interventi chirurgici” e “gravi eventi morbosi” a favore degli iscritti alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, per il triennio 2014/2016 (valore a base di gara 48 mln di euro).

La Commissione, rilevata l’esistenza di un direttore generale della Società francese (carica apicale della casa madre francese, dotata di ampi poteri di rappresentanza), ne ha escluso l’offerta ritenendo che anche per costui avrebbe dovuto essere resa la dichiarazione sulla sussistenza dei requisiti di ordine generale ex art. 38, d.lgs. 163/2006.

Il Consiglio di Stato, sulla base del presupposto che l’interesse perseguito dalla disposizione sia quello di verificare la condotta di coloro i quali determinano effettivamente le scelte all’interno dell’impresa concorrente, ha ritenuto insufficiente la dichiarazione sui requisiti generali riguardante l’ufficio di rappresentanza in Italia, in mancanza di una dichiarazione riferibile alla società costituita all’estero.

I Giudici di Palazzo Spada, in proposito, hanno ribadito l’orientamento già espresso  dal T.A.R Liguria, II, n. 1485/2008, secondo cui

la stazione appaltante deve accertare non tanto le posizioni soggettive dei dichiaranti, quanto la sussistenza dei requisiti di moralità dell’impresa considerata in maniera unitaria e complessiva (indipendentemente dall’esistenza di una sede secondaria), altrimenti si verificherebbe un’irragionevole disparità di trattamento con imprese stabilite in Italia ed il rischio di una facile elusione dell’art. 38”.

Difatti, nel caso in esame, stante  l’unitarietà dell’assetto societario, o comunque lo stretto collegamento tra casa madre e sede secondaria, la pretesa dell’appellante principale di far rilevare, in sede di verifica dei requisiti di partecipazione, solo i requisiti di carattere generale dei rappresentanti della sede secondaria italiana costituirebbe un’ingiustificata deviazione dal principio della corrispondenza nell’assunzione di “onori ed oneri” che tale collegamento comporta.
Tale interpretazione dell’art. 38, tra l’altro, non solo consentirebbe a società non italiane di aggirare la normativa in materia di cause ostative a detrimento delle imprese nazionali, ma comporterebbe un’illegittima disparità di trattamento tra le imprese estere aventi una sede secondaria in Italia e quelle aventi la sola sede italiana e una conseguente elusione della stessa disposizione di legge.

Sulla base di quanto esposto, il Consiglio di Stato, ha ritenuto legittima l’esclusione e confermando la sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE III, n. 04728/2014 ha rigettato l’appello in quanto infondato.

*****

  1. 00226/2015REG.PROV.COLL.
  2. 03397/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3397 del 2014, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Soc. Harmonie Mutuelle, rappresentata e difesa dagli avv. Mario Tonucci, Alberto Fantini, con domicilio eletto presso Studio Legale Tonucci & Partners, in Roma, Via Principessa Clotilde, 7;

contro

Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, rappresentata e difesa dall’avv. Claudio De Portu, con domicilio eletto presso Claudio De Portu in Roma, Via Flaminia, 354;

nei confronti di

– Unisalute S.p.a., rappresentata e difesa dagli avv. Francesco Scanzano e Filippo Brunetti, con domicilio eletto presso Francesco Scanzano in Roma, Via XXIV Maggio, 43 – anche appellante incidentale;
– Codacons, Associazione degli Utenti della Giustizia, rappresentati e difesi dagli avv. Carlo Rienzi e Gino Giuliano, con domicilio eletto presso Ufficio Legale Codacons in Roma, viale Giuseppe Mazzini, 73;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE III, n. 04728/2014, del dispositivo di sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE III, n. 03184/2014, resi tra le parti, concernenti affidamento convenzione per la polizza di tutela sanitaria “grandi interventi chirurgici” e “grandi eventi morbosi” a favore di tutti gli iscritti alla Cassa Forense e convenzione assicurativa integrativa – risarcimento danni;

 

Visti i ricorsi in appello, gli atti di costituzione in giudizio, le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 novembre 2014 il Cons. Pierfrancesco Ungari e uditi per le parti gli avvocati Fantini, De Portu e Scanzano;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Si controverte sull’esito della procedura aperta (indetta mediante pubblicazione sulla G.U.C.E. dell’11 giugno 2013) per l’affidamento, con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, della convenzione per la polizza di tutela sanitaria “grandi interventi chirurgici” e “gravi eventi morbosi” a favore degli iscritti alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, per il triennio 2014/2016 (valore a base di gara 48 mln di euro).

La gara (dopo il rinvenimento di una rinuncia nel plico della Generali Italia S.p.a.) si è svolta tra due sole offerte, quella della odierna appellante principale Harmonie Mutuelle (società di diritto francese con sede secondaria in Italia) e quella di Unisalute S.p.a., appaltatrice uscente ed odierna appellante incidentale.

La stazione appaltante, con nota in data 7 ottobre 2013, ha chiesto chiarimenti in ordine alla documentazione presentata da HM, la quale ha risposto con nota in data 11 ottobre 2013.

La Commissione, rilevata l’esistenza di un direttore generale di HM (carica apicale della casa madre francese, dotata di ampi poteri di rappresentanza – esercitati anche nel conferire i poteri al titolare della sede secondaria italiana, sig. L.R., il quale ha poi sottoscritto per essa la domanda di partecipazione alla gara e reso le dichiarazioni ex art. 38 del d.lgs. 163/2006), nella persona del sig. F.V., ha ritenuto che anche per costui avrebbe dovuto essere resa la dichiarazione sulla sussistenza dei requisiti di ordine generale ex art. 38, cit.,. Mancando tale dichiarazione nell’offerta HM, con nota prot. 138404 in data 18 ottobre 2013, la Cassa ha escluso HM dalla gara

Con delibera in data 14 novembre 2013, n. 7373, è stata disposta l’aggiudicazione in favore di Unisalute.

HM ha impugnato dinanzi al TAR del Lazio l’esclusione, la lex specialis e (con motivi aggiunti) l’aggiudicazione, chiedendo anche il risarcimento dei danni in forma specifica o per equivalente.

L’aggiudicataria Unisalute ha proposto ricorso incidentale, prospettando altri motivi per i quali HM avrebbe dovuto essere esclusa (omessa dichiarazione da parte degli amministratori della società fusa per incorporazione nel 2012; sostanziale subappalto delle attività, salvo il rischio assicurativo, a società non autorizzate allo svolgimento dell’attività assicurativa ed oltre i limiti consentiti; genericità dell’avvalimento).

Con dispositivo n. 3184/2014, la III Sezione del TAR del Lazio ha respinto il ricorso principale e conseguentemente ha dichiarato improcedibile quello incidentale.

E’ seguito il deposito della sentenza n. 4728/2014.

HM ha appellato dette pronunce, rinnovando le domande proposte in primo grado.

Unisalute ha impugnato la sentenza con appello incidentale, nella parte in cui ha stabilito l’ordine di trattazione delle impugnazioni, riproponendo poi i motivi di ricorso non esaminati nel merito dal TAR.

Sono intervenuti ad adiuvandum dell’appellante principale il CODACONS e l’Associazione Utenti della Giustizia, già interventori in primo grado.

La Cassa Forense si è costituita in giudizio ed ha controdedotto puntualmente in relazione ad entrambi gli appelli.

Tutte le parti hanno depositato memorie e memorie di replica.

Nelle more, in data 10 aprile 2014 è stata stipulata con Unisalute la nuova polizza sanitaria collettiva (con durata 1 aprile 2014-31 marzo 2017) e l’esecuzione dell’appalto ha avuto inizio.

L’appello principale di HM è infondato e deve pertanto essere respinto.

Ciò, per economia di mezzi processuali, consente comunque di prescindere dall’esame delle argomentazioni mediante le quali la Cassa Forense ed Unisalute (facendo leva su distinte interpretazioni di quanto affermato da Cons. Stato, A.P., n. 9/2014 e da C.G.U.E., X, 4 luglio 2013 in C-100/2012) chiedono: l’una che l’esame delle censure demolitorie venga posposto a quello delle censure concernenti l’esclusione (potenzialmente assorbente, qualora il loro rigetto conduca a confermare la mancanza di legittimazione del concorrente escluso ad azionare le altre); l’altra, che l’esame del proprio appello incidentale venga considerato pregiudiziale.

Si esaminano le censure dedotte seguendo l’ordine seguito dall’appellante principale (che coincide con quello della sentenza appellata).

6.1. In primo grado HM aveva dedotto la violazione dell’art. 84, comma 4, del d.lgs. 163/2006 e dei principi di trasparenza e parità di trattamento ex art. 2, d.lgs. cit., in quanto uno dei commissari, la dott.ssa M.N.S., dirigente della Cassa, si sarebbe trovata in situazione di incompatibilità, per aver influito significativamente sulle regole di svolgimento della gara.

La censura si basa sul fatto che la dirigente, quale “relatore” designato sull’argomento, durante la riunione del Consiglio di Amministrazione della Cassa in data 21 febbraio 2013, aveva evidenziato “l’opportunità di effettuare alcune integrazioni” in ordine alla lex specialis ancora non redatta, e “suggerito” (insieme all’altro dirigente-relatore, dott. S.B.) il tipo di gara, il criterio di aggiudicazione, alcuni parametri di valutazione, l’inserimento di alcune clausole (in particolare, quella sulla corresponsione di un’indennità sostitutiva agli assicurati che non facciano richiesta di rimborso), il valore dell’appalto.

Il TAR ha ritenuto infondata la censura, affermando che l’intervento della dott.ssa M.N.S., in quanto coerente con la posizione organica rivestita, ed alla luce della circostanza che la redazione del capitolato è stata affidata ad un’apposita commissione della quale essa non ha fatto parte, non poteva configurare lo svolgimento di una funzione o incarico tecnico o amministrativo relativo al contratto, considerati preclusivi dell’incarico commissariale dall’art. 84, comma 4, cit..

Nell’appello (I motivo), HM ribadisce che l’art. 84, comma 4, risponde alla esigenze della rigida separazione della fase di preparazione della documentazione di gara con quella di valutazione delle offerte, a garanzia della neutralità del giudizio (cfr. Cons. Stato, A.P. n. 13/2013), e che quindi per integrare la causa di incompatibilità non è necessario un particolare tipo di impegno; che è indubbio che la dott.ssa M.N.S. abbia avuto influenza nella definizione delle caratteristiche cruciali della procedura (criterio di aggiudicazione, importo, struttura, singole clausole del capitolato); che la nomina di un’apposita commissione per redigere la lex specialis si risolverebbe in un espediente finalizzato ad aggirare la norma.

Il Collegio ritiene condivisibili le argomentazioni del TAR.

La dirigente non ha redatto gli atti della gara, ma ha semplicemente sottoposto alla valutazione dell’organo di gestione competente ad approvarli, e della commissione tecnica incaricata di elaborarne il testo, alcune considerazioni che riteneva opportune.

Appare fisiologico che il dirigente preposto al settore interessato, e quindi in qualche misura coinvolto, per obbligo d’ufficio, nello specifico lavoro, servizio o fornitura oggetto dell’appalto, formuli all’organo di gestione osservazioni in ordine ai contenuti della gara da espletare; e niente affatto anomalo che le osservazioni – qualora siano motivate e appaiano il frutto dell’esperienza amministrativa accumulata in relazione al servizio in questione – vengano recepite nella lex specialis.

Ciò che conta è che non partecipino alla commissione di gara soggetti che, nell’interesse proprio o in quello di qualcuno dei concorrenti, abbiano assunto o possano assumere compiti relativi all’oggetto della procedura di gara.

In questa prospettiva, i suggerimenti della dirigente non sembrano oggettivamente poter avere indirizzato i lavori della commissione di gara a vantaggio dell’uno o dell’altro concorrente; infatti, sono consistiti (dichiaratamente: nel verbale della citata riunione del Consiglio di amministrazione, si legge che le osservazioni tengono conto “delle nuove previsioni recepite nei piani sanitari attualmente presenti nel panorama assicurativo, sia delle richieste e delle esigenze pervenute dagli iscritti durante questi anni all’attenzione della Commissione Paritetica”) in proposte derivanti dalle conoscenze acquisite in ragione dell’ufficio a cui la dirigente è preposta (la c.d. diaria da ricovero, sostitutiva del rimborso non richiesto dall’assicurato, ed i parametri della valutazione delle offerte; ma anche l’obbligatorietà della gestione telematica e l’inclusione nella polizza di tutti gli iscritti alla Cassa nell’ambito del triennio); ovvero, in scelte di carattere generale, orientate in modo decisivo dalle caratteristiche del contratto e dalla ravvicinata scadenza di quello in corso (espletamento di una procedura aperta con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa); o addirittura appaiono la risultante di parametri oggettivi (individuazione del valore dell’appalto, in funzione del valore della polizza e del numero degli iscritti).

Nessuna argomentazione in contrario, ancorché meramente ipotetica o suggestiva, è stata dedotta dall’appellante principale.

L’affidamento della predisposizione della disciplina di gara ad un’apposita commissione, composta da due avvocati, la quale ha poi elaborato ed inserito detti suggerimenti nell’ambito di un articolato ben più complesso, lungi dal rappresentare un mero espediente, rafforza le considerazioni che precedono.

6.2. Con la seconda censura esaminata dal TAR, HM ha lamentato la violazione dei principi generali in materia di pubblicità, trasparenza e parità di trattamento derivanti dall’art. 2 del d.lgs. 163/2006 e dall’art. 49 del T.F.U.E., in riferimento al mancato espletamento in seduta pubblica della fase di verifica della documentazione amministrativa dei concorrenti (al contrario effettuata in seduta riservata in data 3 e 18 ottobre 2013).

Il TAR ha ritenuto infondata la censura, sottolineando (nel solco di Cons. Stato, A.P., n. 13/2011) che la seduta pubblica è necessaria per l’apertura delle offerte tecniche e la verbalizzazione di quanto in esse presente (verbalizzazione che fa fede fino a querela di falso), ma non anche per l’esame di tutta la documentazione, che può avvenire, in modo più approfondito, anche in successive sedute riservate.

Nell’appello (II motivo), HM sottolinea che in seduta riservata si è svolto, non solo un esame più approfondito della documentazione amministrativa che ha condotto a richiedere ad HM di trasmettere integrazioni circa dichiarazioni di alcuni rappresentanti (seduta del 3 ottobre 2013), ma anche la valutazione che ha portato ad escludere HM e ad ammettere Unisalute (seduta del 18 ottobre 2013); perciò, anche ammettendo che il principio (della possibilità di approfondire l’esame della documentazione amministrativa in sedute riservate successive a quella pubblica) copra tali attività, il TAR avrebbe comunque dovuto tener conto che la giurisprudenza successiva (cfr. Cons. Stato, A.P. n. 31/2012; nonché V, n. 8/2013, che la richiama), superando la precedente impostazione, ha imposto un’applicazione più “ampia” del principio di pubblicità delle sedute, affermando che devono svolgersi in seduta pubblica la verifica dell’integrità dei plichi e la disamina del loro contenuto.

Anche tale prospettazione non può condividersi.

Va precisato, infatti, che la decisione dell’Adunanza Plenaria n. 31/2012 non smentisce, ma conferma quanto affermato con la decisione n. 13/2011 in ordine alla portata applicativa del principio di pubblicità delle sedute.

L’ultima pronuncia della Plenaria sul tema, certamente sancisce la necessità di assicurare al principio la “massima latitudine applicativa”, ma tale affermazione va posta in correlazione con la questione affrontata in quella sede (per quanto può riguardare la controversia oggi in esame), che concerneva l’applicabilità dei principi di pubblicità e trasparenza anche alle procedure relative ai settori speciali, alle procedure negoziate non e senza predisposizione del bando, ed agli affidamenti in economia. La sentenza ha integrato la precedente riguardo al novero di procedure di evidenza pubblica cui si applicano detti principi, non anche per ciò che concerne i casi o le attività che si devono svolgere in seduta pubblica; infatti, la garanzia di pubblicità viene ivi riferita alla “fase procedimentale consistente nell’accertamento di quali e quante siano le offerte da esaminare, nonché nella verifica dello “stato di consistenza” di esse (e, cioè, di quali e quanti siano i documenti prodotti e allegati da ciascun concorrente ammesso alla procedura)”, vale a dire alla “fase dell’accesso delle offerte e dei documenti connessi”, non anche alle fasi successive, quale quella di esame del contenuto della documentazione e della sua rilevanza, anche ai fini di eventuali integrazioni o esclusioni.

6.3. Il III motivo di appello di HM è dedicato a contestare la sua esclusione, per omessa dichiarazione, ex art. 38, cit., del direttore generale della casa madre francese, sig. F.V. .

HM in primo grado aveva sostenuto che la dichiarazione di sussistenza delle condizioni di cui all’art. 38, lett. b), c), e m-ter), del d.lgs, 163/2006, non poteva pretendersi in capo ad un amministratore con poteri di rappresentanza della casa madre, posto che:

(a) – la società ha partecipato alla procedura per il tramite della propria sede secondaria italiana, avente come unico rappresentante, in qualità di preposto, il sig. L.R. (unico soggetto con poteri relativamente all’attività in Italia), il quale ha regolarmente reso la dichiarazione;

(b) – la legge di gara non imponeva alcun obbligo in ordine alla dichiarazione da parte del direttore generale della casa madre, limitandosi a richiamare l’art. 38, cit.; l’ipotesi di esclusione non rientra tra quelle che tassativamente devono essere previste ex art. 46, comma 1-bis, del d.lgs. 163/2006; pertanto, non poteva darsi luogo all’esclusione (così come desumibile anche da Cons. Stato, A.P., n. 23/2013, nonché, in tema di documentazione antimafia, dall’art. 85, comma 2, del d.lgs. 159/2011).

(c) – le dichiarazioni rese in gara con riferimento ad altri rappresentanti della casa madre sono state rese ad abundantiam, e non comportano ammissione di identico obbligo in capo al sig. F.V.;

(d) – in ogni caso, la stazione appaltante avrebbe dovuto chiedere integrazioni (come già fatto nei confronti della stessa HM) ex art. 46, comma 1, del d.lgs. 163/2006; o, comunque, si verserebbe in situazione di “falso innocuo”, posto che F.V. non potrebbe non avere i requisiti oggetto della dichiarazione mancante, in quanto l’art. 79 del d.lgs. 209/2005 richiede per le funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso le imprese assicurative requisiti ben più restrittivi, così come fa, per l’amministratore di un “organismo mutualistico”, l’art. L114-21 del Codice di settore francese; quanto meno, la Cassa avrebbe dovuto svolgere un’indagine in ordine all’effettiva riscontrabilità del requisito.

(e) – l’interpretazione dell’art. 38, cit., accolta dalla stazione appaltante comporta un’ingiustificata disparità di trattamento rispetto agli operatori economici italiani, tale da determinare l’illegittimità costituzionale della norma.

Con distinto motivo di appello (IV), HM lamenta che il TAR non abbia considerato correttamente l’autonomia operativa delle sedi secondarie delle imprese di assicurazione operanti in regime di stabilimento in Italia. Tale profilo di censura – del resto, implicitamente respinto dal TAR mediante le argomentazioni dedicate alle censure precedenti – può essere esaminato congiuntamente al III motivo di appello.

Tutte le predette censure sono state ritenute infondate dal TAR, ed HM le ripropone in appello, puntualizzandone il contenuto.

Il Collegio ritiene che le conclusioni del TAR siano condivisibili.

Che il direttore generale della casa madre francese sia sostanzialmente un amministratore con potere di rappresentanza, si desume dalla delibera del Consiglio di amministrazione di HM del 27 giugno 2013 (che, in base allo statuto, ha riconosciuto al d.g., tra l’altro, il potere di “rappresentare la mutua in tutti gli atti di vita civile e in tutte le procedure avviate ad iniziativa e contro la mutua …” e “agire a nome di questa presso gli amministratori, organismi, imprese, raggruppamenti di diritto privato o pubblico con i quali la mutua è in relazioni”).

Non è dubbio che per gli amministratori con poteri di rappresentanza debbano essere rese le formali dichiarazioni attestanti la sussistenza delle condizioni di cui all’art. 38, comma 1, cit., e che tale adempimento fosse previsto (mediante il richiamo della disposizione di legge) anche dall’art. 4, punto 2, del disciplinare di gara.

Il fatto che l’art. 38 non contempli espressamente la figura degli amministratori della casa madre estera di una società che partecipa alla gara, non implica automaticamente che per costui la dichiarazione non sia necessaria, e che risulti per contro sufficiente quella del rappresentante della sede italiana. La giurisprudenza ha affrontato questioni analoghe e, sulla base del presupposto che l’interesse perseguito dalla disposizione è quello di verificare la condotta di coloro i quali determinano effettivamente le scelte all’interno dell’impresa concorrente, ha ritenuto insufficiente la dichiarazione sui requisiti generali riguardante l’ufficio di rappresentanza in Italia, in mancanza di una dichiarazione riferibile alla società costituita all’estero, dove svolge le attività in funzione delle quali realizza il fatturato speso come requisito ai fini della partecipazione alla gara (cfr. TAR Sicilia, I, n. 1013/2009); ed ha ritenuto che la stazione appaltante deve accertare non tanto le posizioni soggettive dei dichiaranti, quanto la sussistenza dei requisiti di moralità dell’impresa considerata in maniera unitaria e complessiva (indipendentemente dall’esistenza di una sede secondaria), altrimenti si verificherebbe un’irragionevole disparità di trattamento con imprese stabilite in Italia ed il rischio di una facile elusione dell’art. 38 (cfr. TAR Liguria, II, n. 1485/2008).

In questa stessa prospettiva, occorre considerare una circostanza che il Collegio ritiene decisiva. HM ha partecipato alla gara facendo valere i requisiti tecnico-economici (fatturato, capacità tecnica) propri dell’intera società, e quindi anche (e – deve ritenersi, trattandosi della sede principale e risultando la sede secondaria attiva sul mercato italiano solo dal 2013 – in misura prevalente) della casa madre francese, e che il potere di rappresentanza al sig. L.R., “al fine del funzionamento della succursale “Harmonie Italia” (cfr. integrazione di mandato in data 10 gennaio 2013, valida, deve ritenersi, anche ai fini della partecipazione alla gara in questione) è stato conferito proprio dal sig. F.V., direttore generale di HM.

Pertanto, la pretesa dell’appellante principale di far rilevare, in sede di verifica dei requisiti di partecipazione, solo i requisiti di carattere generale dei rappresentanti della sede secondaria italiana, sembra contraddire l’unitarietà dell’assetto societario, o comunque lo stretto collegamento tra casa madre e sede secondaria (se si volesse considerare l’autonomia operativa della sede secondaria rispetto alla casa madre, va ricordato che anche per le imprese ausiliarie che forniscono l’avvalimento dei requisiti sussiste l’obbligo di rendere le dichiarazioni ex art. 38, cit. – cfr. Cons. Stato, V, n. 1647/2014, n. 6164/2012 e n. 5780/2012) e costituire un’ingiustificata deviazione dal principio della corrispondenza nell’assunzione di “onori ed oneri” che tale collegamento comporta.

Soprattutto, come ha osservato il TAR, l’interpretazione dell’art. 38 prospettata da HM consentirebbe a società non italiane di aggirare la normativa in materia di cause ostative a detrimento delle imprese nazionali; e, poiché l’art. 38 è posta a presidio della verifica della moralità professionale delle imprese con cui i soggetti pubblici intendono contrattare, si verificherebbe una disparità di trattamento tra le imprese estere aventi una sede secondaria in Italia e quelle aventi la sola sede italiana e una conseguente elusione della stessa disposizione di legge.

Ciò consente di superare anche la questione di legittimità costituzionale che l’appellante ritiene, in via subordinata, sia da sollevare nei confronti dell’art. 38, comma 1, cit., sotto il profilo della violazione degli artt. 3, 97 e 117 Cost. e 49 e 54 TFUE, il relazione all’ingiustificata disparità di trattamento a danno delle società straniere aventi una sede secondaria in Italia. Infatti, della ratio antidiscriminatoria dell’interpretazione qui accolta si è detto, e deve escludersi che essa comporti oneri di verifica estremamente gravosi per le stazioni appaltanti, o aggravio di attività con margini di incertezza legati all’interpretazione ed applicazione di atti societari (statuti, atti costitutivi) e normative estere, così violando la libertà di stabilimento, trattandosi invece, per le stazioni appaltanti ed i concorrenti, di oneri di carattere ordinario ed agevolmente sostenibili.

Del resto, com’è stato sottolineato nella sentenza di primo grado, i requisiti di cui all’art. 38, comma 1, cit., hanno una matrice di derivazione europea, in quanto recepiscono l’art. 45 della direttiva 2004/18/CE e ciò vale soprattutto per il requisito di cui alla lettera c) in quanto concerne la dichiarazione circa l’assenza di condanne per “reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale”, per cui sarebbe contraddittorio svincolare gli organi rappresentativi della sede estera dall’obbligo dichiarativo.

Pertanto, anche volendo ammettere che, dalle norme in materia assicurativa, discenda una completa autonomia operativa della sede secondaria, ciò non poteva comportare, nel caso in esame, una sostanziale disapplicazione della disciplina dell’evidenza pubblica.

Inconferente appare il richiamo alle disposizioni del d.lgs. 159/2011, posto che la normativa antimafia ha una sua propria ratio e non è suscettibile di applicazione analogica.

Nemmeno il richiamo a quanto affermato dall’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 23/2013 giova all’appellante, in quanto l’oggetto di detta sentenza è l’applicabilità dell’art. 38 ai procuratori speciali, i quali non sono espressamente menzionati dalla disposizione, e comunque hanno poteri assai più limitati di quelli che possiede, nel caso in esame, il direttore generale della casa madre francese. Così come il richiamo a quanto affermato dall’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 16/2014, invocata dall’appellante nella memoria di replica, posto che nella gara in esame non è stata contestata la mancata indicazione analitica nella dichiarazione di soggetti onerati agevolmente individuabili dalla stazione appaltante (o di alcune delle condizioni elencate dall’art. 38), bensì proprio la mancanza di una dichiarazione riferibile, ancorché riassuntivamente e genericamente, ad uno di essi (non essendo evidentemente tale quella effettuata dal sig. L.R., “per sé e per la società che rappresenta”).

Anche l’art. 39 del d.l. 90/2014, altresì sopravvenuto (che ha introdotto all’art. 38, cit., il comma 2-bis, che disciplina su basi diversi le conseguenze delle carenze documentali, valorizzando in termini assai più ampi la possibilità di integrazione e regolarizzazione, a fronte del pagamento di sanzioni pecuniarie), non può condurre a diverse conclusioni, in quanto norma espressamente non applicabile alle procedure di affidamento indette prima della sua entrata in vigore.

D’altro canto, legittimamente – sempre tenendo conto del contesto normativo di riferimento, che è quello antecedente all’introduzione dell’art. 38, comma 2-bis, cit. – non è stato esercitato il c.d. potere di soccorso con richiesta di integrazioni ai sensi dell’art. 46, comma 1 del d.lgs. 163/2006, in quanto la dichiarazione mancante riguarda i requisiti essenziali del soggetto che partecipa al procedimento di gara, da rendere a pena di esclusione, per cui, come sottolineato nella sentenza appellata, una richiesta sollecitatoria postuma da parte della stazione appaltante suonerebbe come una possibilità di sanatoria tardiva e come una lesione della parità di trattamento, laddove gli altri candidati hanno effettuato le dichiarazioni tempestivamente in sede di presentazione dell’offerta. Né ciò può risultare contraddittorio rispetto al precedente esercizio del potere nei confronti della concorrente medesima, posto che in quel caso si è trattato di una richiesta di integrare dichiarazioni incomplete e non di presentare dichiarazioni del tutto mancanti.

Infine, non può essere accolta la prospettazione secondo la quale il non avere presentato la dichiarazione relativamente al direttore generale della sede francese, concretizzerebbe un “falso innocuo”, posto che il sig. F.V., alla luce del maggior rigore imposto per gli amministratori dalla disciplina italiana e da quella francese sulle imprese di assicurazioni, non potrebbe non possedere tutti i requisiti per partecipare alla gara. Infatti, non può postularsi la piena rispondenza in concreto della situazione soggettiva alle previsioni di legge che disciplinano l’attività svolta, ed essendo mancata la dimostrazione del possesso in concreto di detti requisiti, non possono trovare applicazione i principi affermati in tema di falso innocuo (peraltro, controversi nella giurisprudenza), che detta dimostrazione comunque presuppongono.

6.4. Con il V motivo di appello HM lamenta che il TAR abbia ritenuto inammissibile per difetto di interesse la censura incentrata sulla violazione degli artt. 86-88 del d.lgs. 163/2006, per mancata verifica dell’anomalia dell’offerta dell’aggiudicataria Unisalute.

HM ribadisce che la verifica andava fatta, avendo Unisalute ottenuto (46/50 + 50/50 =) 96/100 punti, superiori ai quattro quinti rilevanti ai sensi dell’art. 86, cit., comma 2.

Il Collegio ritiene che correttamente la censura sia stata ritenuta inammissibile, in quanto riguardante la verifica dell’anomalia dell’offerta e dunque una fase del procedimento di gara a cui la ricorrente non ha partecipato a causa dell’esclusione (legittimamente disposta, per quanto sopra considerato).

Peraltro, anche qualora, in accoglimento delle censure concernenti l’esclusione, HM fosse stata riammessa in gara, la procedura sarebbe ripresa da quella fase e la stazione appaltante avrebbe dovuto effettuare nuove valutazioni e procedere ad una nuova aggiudicazione; qualora, invece, fosse stata accolto uno degli altri motivi di ricorso, aventi carattere demolitorio, sarebbe venuta meno (e quindi avrebbe dovuto essere rinnovata) l’intera procedura di gara.

A causa del rigetto dell’appello principale non vi è interesse alla decisione di quello incidentale, che deve pertanto essere dichiarato improcedibile.

Considerata la novità di alcuni aspetti delle questioni trattate, si ravvisano giustificati motivi per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, respinge l’appello principale proposto da Harmonie Mutuelle e dichiara improcedibile quello incidentale proposto da Unisalute.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 novembre 2014 con l’intervento dei magistrati:

Sergio Santoro, Presidente

Bruno Rosario Polito, Consigliere

Vittorio Stelo, Consigliere

Angelica Dell’Utri, Consigliere

Pierfrancesco Ungari, Consigliere, Estensore

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 22/01/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

Il procuratore d’agenzia assicurativa: chi è e va iscritto al RUI?

La figura di procuratore.
Questa figura, oltre che invalsa nella prassi, è espressamente prevista dall’art. 5 ANA, ed è citata nella FAQ 1.4 Isvap (1).

La normativa non dice nulla dei suoi compiti, mentre la risposta dell’Isvap lascia intendere che la semplice nomina a procuratore non è sufficiente in sé a chiarire quali siano i suoi compiti e la sezione RUI di appartenenza.

Figure come questa, osserva l’Authority,

vanno riempite di contenuto alla luce della definizione di attività di intermediazione assicurativa di cui all’articolo 106 del Codice delle assicurazioni, all’art. 2, lettera d) del Regolamento e raffrontate all’attività in concreto esercitata, con particolare riferimento al contesto nel quale operano.”

E in effetti, così come in generale per ogni procuratore nell’ordinamento giuridico, anche per il procuratore d’agenzia il ruolo può essere riempito di vari contenuti: è l’atto di procura, infatti, che stabilisce poteri e limiti.

E, proprio in funzione della procura, il procuratore potrà:

  • non essere soggetto intermediario la cui attività vada iscritta al RUI
  • essere soggetto E
  • essere soggetto A.

In quest’ultima ipotesi rileva, nei casi di società agenziale, quali siano i poteri attribuiti con la procura all’interno dell’organizzazione societaria.

Il responsabile dell’attività d’intermediazione.
E infatti, sotto quest’altro profilo, va chiarito quali siano i soggetti che, all’interno della società agenziale, debbano essere iscritti in A.

Come ci spiega il Reg. 5 Isvap (art. 13), tali sono coloro ai quali la società ha

“affidato la responsabilità dell’attività di intermediazione ad almeno una persona fisica iscritta nella medesima sezione del registro alla quale la società chiede l’iscrizione. Nel caso in cui la responsabilità dell’attività di intermediazione sia affidata a più persone, l’obbligo di iscrizione nella medesima sezione del registro è riferito ad ognuna di esse.”

La ratio della norma è sicuramente quella di voler individuare, indicare e rendere pubblico il soggetto abilitato A, che si assuma, verso Authority Compagnia e assicurati, la responsabilità anche formale dell’operato della società.

Tant’è che questi responsabili (con ciò facendo il paio con l’art. 2 comma V ANA) vanno individuati

“nell’ambito della dirigenza, tenendo conto delle dimensioni e della complessità dell’attività svolta”.

Sarebbe limitativo fermarsi, però, al dato formale.

Come Isvap ha chiarito (cfr. FAQ V gruppo), il “Regolamento definisce come responsabile dell’attività di intermediazione di società iscritte nel registro colui al quale, nell’ambito della dirigenza, sono attribuiti poteri decisionali e che esercita funzioni di coordinamento e di controllo dell’attività di intermediazione assicurativa e/o riassicurativa svolta dalla società.
Relativamente alla nozione di ‘dirigenza’, essa va intesa con riferimento all’effettivo svolgimento di mansioni direttive: possono pertanto assumere la qualifica di responsabile anche soggetti ai quali, indipendentemente dall’inquadramento nell’organico, siano state attribuite dai competenti organi della società mansioni direttive.”

E quindi:

  • formalmente è richiesto che il responsabile sia soggetto abilitato A;
  • ma, sostanzialmente, chiunque all’interno della società svolga funzioni di coordinamento e controllo dell’attività assicurativa esercitata dalla società deve essere iscritto in A e indicato quale responsabile dell’attività d’intermediazione.

Il che ha una sua coerenza logica: chi è incaricato di gestire e coordinare lo sviluppo degli affari assicurativi è esattamente la definizione di Agente ai sensi dell’ANA (art. 2) e del codice civile (art. 1742).

Conclusioni.
Entrambe le prospettive conducono alla medesima conclusione: se il procuratore di agenzia ha, tra i suoi poteri, quello di partecipare (insieme agli agenti o responsabili dell’attività, o in loro luogo) alle decisioni e al coordinamento e controllo dell’attività assicurativa, allora dovrà (opportunamente) essere iscritto alla sezione A ed essere indicato tra i responsabili dell’attività d’intermediazione.

Qualora invece manchi questo potere di coordinamento (cioè, non lo eserciti nemmeno di fatto), allora potrà essere iscritto in E – sempre se collabora all’attività d’intermediazione esercitandola fuori dei locali agenziali.

Se non svolge alcun incarico da intermediario rilevante ai fini del RUI, non dovrà essere iscritto al registro.

Certo, nulla vieta che il procuratore d’agenzia sia un soggetto A operativo, anche se non responsabile dell’attività d’intermediazione (e quindi anche se non indicato come incaricato e anche se nei fatti non è incaricato delle scelte decisionali sull’attività d’intermediazione assicurativa).
Tuttavia, in tal caso, a meno che egli non sia anche titolare di una propria agenzia (per cui si sarebbe nell’ipotesi di libera collaborazione reciproca), si dovrebbe risolvere la questione della collaborazione tra soggetti A (che ad oggi, fuori dei casi del d.l. 179/12, non sarebbero in sé attivabili secondo il consolidato orientamento dell’Isvap/Ivass).

 

(1) www.ivass.it/operatori/intermediari/faq/regolamento-5/index.html

L’agente immobiliare può promuovere anche prodotti assicurativi?

Attualmente non esiste più il ruolo degli agenti d’affari in mediazione.

Non è più dunque necessaria l’iscrizione a un albo per poter esercitare detta attività professionale. Il soggetto ha solo l’obbligo di presentare la c.d. segnalazione certificata di inizio attività (scia).
La Scia va presentata alla Camera di commercio competente per territorio, il cui Registro Imprese/R.E.A. funge da sostituto del vecchio Ruolo.

Spetta dunque alla Camera di commercio verificare il possesso dei requisiti da parte degli esercenti l’attività, sia all’inizio dell’attività (comunicazione scia) sia durante il suo svolgimento.

Oltre agli altri presupposti professionali e personali, infatti, possono esservi anche casi d’incompatibilità con l’esercizio dell’attività di agente immobiliare (sia iniziali sia sopravvenuti).
Per quel che ci interessa, con la soppressione del ruolo sono anche stati modificati questi casi di incompatibilità.

Nello specifico, l’agente immobiliare non può esercitare nessun’altra attività, sia quale dipendente sia quale autonomo, con poche specifiche eccezioni tra cui le attività di mediatore assicurativo e creditizio.

Sull’altro versante, vigente il Codice delle assicurazioni, non vi sono attualmente preclusioni o incompatibilità a che un soggetto RUI sia anche agente immobiliare.

Dal combinato delle due discipline possiamo trarre la conclusione che il soggetto che esercita l’attività di agente immobiliare può svolgere compatibilmente anche l’attività di broker (mediatore assicurativo).

V’è invece incompatibilità tra l’esercizio dell’attività di mediazione immobiliare e l’esercizio dell’attività di agente (o subagente) assicurativo.

È importante cogliere questo primo passaggio fondamentale: è compatibile l’iscrizione contemporanea nella sezione A del RUI e nel REA quale agente di mediazione immobiliare; quel che non è compatibile è l’esercizio simultaneo delle due attività.

Questo ci aiuta a chiarire un secondo passaggio fondamentale, quello concernente l’oggetto sociale della società che non voglia precludersi a priori la possibilità di operare in ambito immobiliare e assicurativo.

Come noto, questo risulta assai spesso molto ampio e generico, senza specificazioni: ad esempio, è ricorrente che una società di intermediazione assicurativa individui, tra le varie attività, quella tipica dell’art. 109 d.lgs. 209/2005 indicandola genericamente quale attività di consulenza e assistenza in campo assicurativo e di promozioni dei prodotti. Il che, chiaramente, consente alla società di potersi iscrivere in una delle sezioni del RUI, o ad esempio di passare dalla sezione A alla B o viceversa.

Più in generale, proprio perché si caratterizza per la sua natura di impresa di mediazione (in senso lato e atecnico), una società, a fianco all’attività assicurativa, può inserire nell’oggetto sociale, come di fatto avviene nella prassi, anche altre attività di natura analoga come la mediazione finanziaria e creditizia e/o, per l’appunto, l’attività di agente in mediazione (merceologica o immobiliare).

Ora, per quanto sopra visto, non solo un oggetto sociale che preveda diverse attività di mediazione in campi distinti non porta in sé alcuna incompatibilità generale (nel nostro esempio: la società potrebbe svolgere contemporaneamente sia l’attività di broker assicurativo sia di agente immobiliare).

Ma, anche con specifico riferimento alla contemporanea iscrizione al RUI quale agente assicurativo e al REA quale agente immobiliare, questo non è sufficiente in sé a integrare un’ipotesi d’incompatibilità. Come detto, infatti, ben può un soggetto essere iscritto a entrambi i registri simultaneamente: l’importante è che non eserciti contestualmente le due attività.

Insomma, è lecito e compatibile che l’oggetto sociale riporti contemporaneamente l’attività di intermediario assicurativo (anche qualora in via ipotetica indicasse espressamente la qualifica di agente) e l’attività di agente d’affari in mediazione.

Ricapitolando:

  1. la normativa assicurativa non prevede incompatibilità tra iscrizione al RUI e iscrizione al REA quale agente immobiliare;
  2. la normativa sulla mediazione d’affari non prevede incompatibilità tra iscrizione al REA e iscrizione al RUI;
  3. la normativa sulla mediazione d’affari prevede invece un’incompatibilità tra l’esercizio di intermediazione assicurativa e l’esercizio di agente di mediazione immobiliare – con l’eccezione dell’attività di broker (che è invece compatibile);
  4. l’oggetto sociale può affiancare attività di mediazione nell’uno e nell’altro settore: ciò che rileva, infatti, è eventualmente l’esercizio simultaneo di tali attività;
  5. competente a vigilare sui requisiti, e quindi anche sull’assenza di incompatibilità, dell’agente d’affari in mediazione è la Camera di commercio;
  6. la Camera di commercio è l’ente competente per l’iscrizione di ogni attività (inclusa quella assicurativa) al Registro delle imprese.

Ne possiamo trarre la conclusione che è la Camera di commercio ad essere l’ente competente a verificare la sussistenza e persistenza dei requisiti di iscrizione e compatibilità al REA quale agente di mediazione immobiliare; oltre ad essere l’unico ente che, registrando ogni tipologia d’impresa, possa vagliare eventuali incompatibilità tra due attività di una medesima società registrata presso i suoi elenchi.

Collocare polizze a San Marino

CONDIZIONI DI OPERATIVITÀ PER L’INTERMEDIARIO:
(a) autorizzazione della Banca Centrale di San Marino, per ottenere la quale occorre presentare apposita domanda corredata di:
(b) attestazione Ivass che certifichi la sua operatività in Italia e che nulla osta all’esercizio anche in San Marino (ai sensi dell’art. 116 d.lgs. 209/2005, l’intermediario italiano che voglia operare all’estero deve darne comunicazione preventiva all’Ivass);
(c) documentazione che attesti di operare come agente di una compagnia di assicurazioni a sua volta autorizzata ad operare in San Marino (v. sotto);
(d) programma di attività che contenga le seguenti informazioni:
(i) tipologia dei prodotti assicurativi che s’intende collocare a San Marino
(ii) tipologia di clientela presso cui s’intendono collocare tali prodotti
(iii) modalità con cui s’intende svolgere l’attività (es: agente, broker, ecc), specificando i “collaboratori” (non solo chi aiuta in agenzia ma soprattutto le imprese mandanti o altri intermediari)
(iv) indicazione di una sede nel territorio sammarinese, presso la quale sia conservata la documentazione relativa all’attività svolta in San Marino.
La Banca Centrale comunica accettazione o diniego entro 90 giorni dalla presentazione della domanda.

Perché un intermediario possa collocare prodotti a San Marino, non è sufficiente che sia autorizzato lui, ma è necessario che anche la compagnia abbia l’autorizzazione a vendere prodotti e servizi.

CONDIZIONI DI OPERATIVITÀ PER L’IMPRESA:
(a) autorizzazione della Banca Centrale di San Marino, ai quali fini la Banca valuta e verifica che:
(b) la compagnia abbia informato la propria autorità di vigilanza dell’intenzione di operare a San Marino (cfr. art. 22 d.lgs. 209/2005);
(c) Ivass non abbia opposto impedimenti (cfr. art. 22 comma II d.lgs. 209/2005) a che la compagnia possa operare in San Marino;
(d) Ivass abbia certificato che la compagnia risponde ai requisiti di solvibilità previsti dal nostro ordinamento;
(e) la compagnia collochi prodotti non direttamente, ma solo tramite intermediari autorizzati a operare in San Marino.
La Banca Centrale comunica accettazione o diniego entro 30 giorni dalla presentazione della domanda.

I broker e i documenti da conservare

La lettera c) comma 4 art. 120 del d.lgs. 209/2005 (Codice delle assicurazioni) assegna all’Autorità di Vigilanza di prevedere le modalità con cui tutti gli intermediari abilitati debbono conservare la documentazione concernente l’attività svolta.

La disciplina attuativa è contenuta all’art. 57 del Reg. 5, e prevede che 

gli intermediari debbano conservare i documenti relativi agli incarichi d’intermediazione e all’informativa pre- e contrattuale.

Ai fini di quanto segue, è opportuno annotare che parte di questa documentazione è di pertinenza propria dell’intermediario, mentre un’altra parte viene compilata e consegnata dall’intermediario per conto della preponente.

L’obbligo di conservazione è di cinque anni – e questo termine (come specificato da Isvap negli esiti delle pubbliche consultazioni) decorre dalla data di cessazione degli effetti dei contratti assicurativi cui la documentazione si riferisce.
Tale obbligo viene meno qualora, durante il quinquennio, il rapporto d’intermediazione cessi e la documentazione venga riconsegnata all’impresa.

Per completezza, va ricordato che la conservazione della documentazione può avvenire non solo tramite gli originali cartacei, ma anche mediante supporti digitali, ottici, magnetici o altra forma equivalente.

Con riferimento alla documentazione concernente i contratti conclusi tramite gli intermediari e le proposte di assicurazione e gli altri documenti sottoscritti dai contraenti, possiamo immaginare per i broker tre diverse situazioni:

  1. il broker agisce (solo) su incarico del cliente privato (assicurato), e conclude il contratto con un agente o direttamente con la direzione generale o la gerenza di una compagnia;
  2. il broker ha un accordo di collaborazione con un agente;
  3. il broker ha un accordo di distribuzione con la Compagnia.

Nei casi indicati ai punto 1 e 2 il broker osserverà l’obbligo di conservazione della documentazione in favore del solo cliente assicurato, mentre l’agente (o la direzione generale o gerenza) della compagnia avrà a suo carico di osservare la prescrizione in favore/per parte della compagnia.

Nell’ipotesi 3 il broker, che propone i contratti della compagnia assicuratrice in virtù dell’accordo di distribuzione, si trova verso la compagnia in una situazione del tutto paragonabile (ai fini della conservazione della documentazione) a quella di un agente.
Pertanto, non solo dovrà conservare la documentazione di propria pertinenza (ad esempio: modelli 7A e 7B); ma dovrà conservare presso di sé anche le proposte di assicurazione e gli altri documenti sottoscritti dai clienti, nonché la polizza (se è prassi della compagnia inviarla al broker anziché direttamente all’assicurato, o comunque se Voi ne inviate una copia anche al broker oltre all’originale direttamente all’assicurato).

Questa soluzione appare conforme alle osservazioni effettuate da Isvap in sede di pubblicazione degli esiti di consultazione relativi al Reg. 5: l’Authority, infatti, tra tutti gli intermediari ha espressamente escluso dagli obblighi di conservazione solo i produttori diretti di cui alla sezione C; e ha ribadito che tali oneri incombono invece su tutti gli altri soggetti del RUI (e quindi non solo A e B ma anche D ed E) quando i contratti siano conclusi per il loro tramite.

Va da sé che al momento di cessazione dell’accordo di distribuzione tra compagnia e broker, quest’ultimo sarà liberato dagli obblighi di conservazione con la riconsegna della documentazione alla compagnia.

Adesione delle imprese di assicurazione al sistema di prevenzione Scipafi

Dal 17 agosto 2015 anche le Compagnie di assicurazione sono obbligate ad aderire al sistema di prevenzione denominato Scipafi.

Le modalità di adesione, e cioè di accreditamento presso la Consap SpA, sono disciplinate all’art. 4 del Regolamento (decreto MEF 19 maggio 2014, n. 95), e si risolvono nella compilazione ed invio telematici dell’allegato 1 al Regolamento.
Successivamente all’accreditamento, Consap comunicherà la quantificazione dell’importo del contributo una tantum di adesione, e verrà stipulata una convenzione sulla base di uno schema-tipo predisposto secondo le indicazioni del Garante della Privacy.

Si ritiene condivisibile l’interpretazione di Ania (cfr. prot. 0207 dd. 08.06.15), secondo la quale le imprese assicuratrici non sono invece assoggettate all’obbligo di consultazione dell’archivio Consap-Scipafi.
Infatti, le prestazioni di assicurazione decorrono solo una volta che il premio (o il suo rateo) relativo al periodo coperto sia stato versato: sicché non v’è alcun rischio che vengano fornite prestazioni senza compenso.

Ciò vale, a condizione tuttavia che le c.g.a. non prevedano una deroga all’art. 1901 c.c.: per cui, qualora in alcune circostanze fosse previsto che l’assicuratore garantisce comunque la copertura nonostante il mancato pagamento del premio, allora in questi casi si renderebbe necessaria la preventiva consultazione dell’archivio.

Altrettanto condivisibile è l’esclusione delle imprese di assicurazione dall’obbligo di inviare copia del contratto all’indirizzo del contraente, dove per indirizzo è da intendersi quello risultante dai registri anagrafici (e non quello comunicato dal contraente).
Questa misura è evidentemente volta a portare a conoscenza dell’indirizzo anagrafico la conclusione del contratto: solitamente, infatti, nei furti d’identità viene anche utilizzato l’indirizzo di un’altra persona, proprio per eludere la rintracciabilità del contraente.
L’esclusione anche in questo caso trae ragione da quanto già osservato prima relativamente al pagamento dei premi, che di norma per le prestazioni assicurative avviene prima dell’inizio del periodo di copertura, di modo che in assenza di pagamento le garanzie sono sospese.

Di ciò pare aver preso atto anche il legislatore, visto che distingue chiaramente il settore assicurativo da quello del credito al consumo e pagamenti dilazionati – come risulta dal confronto tra il comma 1, art. 30ter, e il comma 1, lett. b, art. 30quater, d.lgs. 141/2010.

D’altra parte, l’art. 30quinquies prevede la facoltà, e non l’obbligo, di effettuare un riscontro tra i dati ricevuti dal soggetto in caso di dilazione del premio con quelli detenuti da organismi pubblici o privati.

Rimangono invece pienamente applicabili anche alle Compagnie gli obblighi di segnalazione.
In particolare, a partire dal 16 gennaio 2016 esse sono obbligate a inviare le informazioni sulle frodi subite e sul rischio di frodi per tutte le prestazioni assicurative.
Queste informazioni, normativamente indicate agli artt. 11 e seguenti del Decreto MEF 95/2014, vanno inviate telematicamente tramite il sistema Scipafi.

Come specificato dalle circolari MEF e Ania, è bene anche qui ribadire, in conclusione, quando si intendono integrate le situazioni oggetto dell’obbligo di comunicazione.
Tali situazioni sono quelle in cui vi sia il rischio di frode o la frode accertata, attraverso il furto d’identità.

Nel nostro ordinamento la nozione di “furto d’identità” ricorre unicamente all’art. 30bis del d.lgs. 141/2010, e ricorre quando un soggetto utilizza i dati di altro soggetto (inclusi quelli del reddito).

Per rischio di frode l’art. 12 del Regolamento MEF intende il ricorrere di almeno tre incongruenze tra i dati forniti dal soggetto e quelli rinvenibili nell’Archivio Scipafi o presso altri elenchi legittimamente tenuti da organismi pubblici o privati (anche degli stessi aderenti che raccolgono i dati per l’operazione contrattuale).

Per frode accertata s’intende la situazione in cui il soggetto, che è stato vittima del furto d’identità, abbia: (a) disconosciuto l’operazione finanziaria (incluse quelle di natura assicurativa) posta in essere dal soggetto agente con l’utilizzo dei dati della vittima; e pertanto (b) presentato denuncia all’Autorità Giudiziaria.

E’ evidente che, mentre nel caso della frode accertata è il soggetto vittima del furto che ne dà informazione anche alla compagnia assicurativa (disconoscendo ad esempio una polizza di capitalizzazione); nei casi di rischio di frode, al contrario, le incongruenze vengono rilevate direttamente dal soggetto aderente a Scipafi (tra cui, per l’appunto, anche le Compagnie).

Nel caso di segnalazioni per rischio di frode, la procedura di rilevamento e comunicazione a Scipafi da parte della Compagnia comporta le seguenti tempistiche:

  1. invio (telematico tramite il Sistema) dei dati apparentemente ‘incongruenti’ e relative informazioni, entro il primo giorno lavorativo successivo a quello di acquisizione;
  2. apertura del periodo di monitoraggio da parte dell’Ente gestore del Sistema;
  3. conclusione del monitoraggio entro 15 giorni dall’invio di cui al punto i), che si conclude con l’accertamento della frode o con l’eliminazione dell’operazione dall’archivio. La conclusione del monitoraggio è onere dell’Ente gestore.

Lavoratore e fondo complementare: a chi spetta l’insinuazione al passivo fallimentare del datore?

E’ opinione di chi scrive che legittimato attivo a far valere le proprie ragioni per il mancato versamento della contribuzione al fondo pensione sia il lavoratore.

Tuttavia, va preso atto che parte della giurisprudenza – sulla scorta di alcune posizioni dottrinali – ritiene invece che esista una legittimazione concorsuale, o addirittura esclusiva, del fondo.

Di seguito verrà dato conto delle ragioni dissenzienti rispetto a tali pronunce, indicando al contempo alcune soluzioni operative nel caso in cui il giudice fallimentare adito ritenesse di poter accogliere le sole insinuazioni al passivo presentate dal fondo.

Il lavoratore come titolare del credito.
Il sistema della previdenza complementare presenta delle caratteristiche che lo contraddistinguono dalla previdenza obbligatoria: ragione per la quale non vi si possono estendere per analogia le conclusioni e le argomentazioni utilizzate per quest’ultima, nella quale è pacifico che titolare del credito contributivo sia esclusivamente l’ente previdenziale.

La prima peculiarità è che, nella previdenza complementare, la posizione assicurativa del lavoratore è una “posizione individuale”: non v’è alcun automatismo tra contribuzione versata e maturazione del diritto al trattamento pensionistico (come avviene invece nella previdenza obbligatoria, finanziata a ripartizione), in quanto la costruzione della prestazione complementare è legata non solo ai contributi netti versati ma anche ai rendimenti derivanti dalla gestione.

In secondo luogo, a differenza della previdenza obbligatoria, l’adesione al fondo e il versamento della contribuzione complementare non derivano automaticamente dal rapporto di lavoro, ma dal rapporto associativo tra fondo, datore e lavoratore: tant’è che i versamenti sulla posizione individuale possono continuare, da parte del lavoratore o di un terzo, anche qualora il rapporto di lavoro venisse meno.

Altra caratteristica è che, a differenza dell’art. 3 d.lgs. 80/1992 che richiede per la previdenza obbligatoria la compiuta prescrizione del credito contributivo, l’art. 5 invece non subordina l’attivazione del Fondo di garanzia INPS a copertura dei contributi omessi alla circostanza che questi non possano essere più versati per sopravvenuta prescrizione. Il che significa, allora, che anche prima del termine prescrizionale il lavoratore ha la titolarità di attivarsi (non così, invece, nella previdenza obbligatoria, dove la necessità del decorso del termine prescrizionale sta a indicare che in pendenza del termine solamente l’ente previdenziale può interrompere la prescrizione e cioè far valere il diritto di credito contributivo): si tratta, dunque, di un diritto ‘attuale’ del lavoratore.

Significativa è l’espressione letterale utilizzata proprio all’art. 5, comma 2, d.lgs. 80/1992, che definisce quale ‘credito’ del lavoratore il ‘versamento da parte dei datori di lavoro (…) dei contributi dovuti per forme di previdenza complementare’.

Ciò trova conferma anche nel dato normativo (poi ripreso, se pure con alcune limitazioni, dalle condizioni statutarie e regolamentari dei singoli fondi) che con determinati presupposti consente al lavoratore di riscattare in tutto o in parte il capitale versato al fondo, ancor prima di aver maturato il diritto alla prestazione pensionistica; oppure, di poter trasferire la propria posizione individuale da un fondo a un altro; o di disporre circa il destino del montante residuo in caso di morte rispettivamente successiva o antecedente alla maturazione del diritto alla prestazione pensionistica.

Infine, sintomatico appare anche l’art. 1, comma 2, lett. e), n. 8, L 243/2004, che – pur rimasto inattuato nel decreto legislativo – parla di ‘attribuzione ai fondi pensione della contitolarità con i propri iscritti al diritto alla contribuzione, compreso il trattamento di fine rapporto cui è tenuto il datore di lavoro, e la legittimazione dei fondi stessi, rafforzando le modalità di riscossione anche coattiva, a rappresentare i propri iscritti nelle controversie aventi ad oggetto i contributi omessi nonché l’eventuale danno derivante dal mancato conseguimento dei relativi rendimenti’.

In definitiva, il lavoratore appare titolare di un diritto attuale al versamento della contribuzione al fondo previdenziale complementare; e, come tale, titolare necessariamente anche del relativo diritto processuale, e cioè della legittimazione attiva a far valere le proprie ragioni, sia con strumenti difensivi (richiesta d’intervento del Fondo garanzia INPS) sia con strumenti offensivi (condanna del datore di lavoro all’adempimento; insinuazione al passivo).

La posizione e la responsabilità del Fondo.
Certamente anche il Fondo è titolare di un interesse, meritevole di tutela giuridica, a che i versamenti contributivi vengano correttamente adempiuti.

Ciò è vero, non solo per quel che concerne l’incameramento dei versamenti; ma anche a tutela della propria responsabilità quale creditore della contribuzione nei confronti del creditore della prestazione pensionistica (ossia il lavoratore).
Questo trova conferma in numerose previsioni statutarie e regolamentari, per cui molti fondi premuniscono il recupero dei contributi omessi applicando non solo gli interessi ma anche delle sanzioni contrattuali pecuniarie.

Ne consegue, anche in ragione di quanto al § precedente, che l’irregolarità contributiva lede il diritto di cui sia il lavoratore sia il fondo sono titolari.
Il bene giuridico tutelato è la provvista della posizione individuale del lavoratore: sicché il danno è uno solo, appunto la lesione della provvista, nonostante vi sia la lesione di due diversi diritti (la posizione individuale del lavoratore e il diritto di credito del fondo).

La contitolarità del diritto alla provvista comporta una differente responsabilità del fondo verso il lavoratore, rispetto a quella dell’ente previdenziale: nel caso della previdenza obbligatoria, infatti, essendo l’ente l’unico titolare del diritto di credito contributivo, la sua mancata attivazione nonostante la segnalazione da parte del lavoratore dell’omissione contributiva lo rende responsabile del danno da riduzione del trattamento pensionistico; nel caso della previdenza complementare, invece, essendo anche il lavoratore titolare del diritto di credito contributivo e potendo dunque lui attivarsi personalmente in caso di omissione contributiva, l’unica obbligazione che rende il fondo responsabile verso il lavoratore è l’informativa periodica relativa alla posizione individuale, il cui inadempimento non mette l’aderente nella condizione di conoscere dell’omissione contributiva.

Non v’è, invece, alcun obbligo di attivarsi per il fondo che abbia regolarmente tenuto aggiornato il lavoratore rispetto alla sua posizione individuale.

Le diverse prospettive nella provvista mediante versamento di contributi e in quella mediante conferimento del tfr.

Va dato atto che, in dottrina, alcuni distinguono la posizione del fondo secondo che la provvista della posizione individuale (‘contribuzione’ in senso lato) avvenga con conferimento di tfr oppure con versamento di contributi. Nello specifico, solamente nel secondo caso tale dottrina ritiene sussistente un diritto di credito del fondo; mentre nella prima ipotesi il fondo non sarebbe titolare di alcuna legittimazione contro l’omissione contributiva.

La distinzione tra le due modalità di contribuzione viene così spiegata.

Solamente nel caso di versamento di contributi sarebbe integrato l’istituto della delegazione di pagamento (art. 1269 c.c.). In questo caso, infatti, il lavoratore, aderendo al fondo, ne diverrebbe debitore; il datore di lavoro, in virtù dell’accordo collettivo o aziendale, sarebbe chiamato a versare in luogo del lavoratore (in tutto o in parte) i relativi contributi; e, pertanto, in questa costruzione il debitore del fondo (il lavoratore) delegherebbe il terzo (il datore), che si obbliga verso il creditore (il fondo), ad eseguire il versamento. Il fondo, quale creditore del debitore, sarebbe dunque titolare del diritto di credito e del relativo ius exigendi.

Nel caso del conferimento di tfr a marcare la differenza sarebbe la circostanza che il tfr è un credito di ‘retribuzione differita’ di cui il lavoratore è titolare maturandolo per il semplice svolgimento della prestazione lavorativa, a prescindere dall’adesione al fondo complementare: al contrario, i contributi di cui sopra sono un credito del lavoratore che nasce proprio con la finalità di provvista della previdenza complementare. Nel caso del conferimento di tfr, dunque, si assisterebbe semplicemente al pagamento fatto alla persona indicata dal creditore (art. 1888 c.c.). Secondo tale opinione, dunque, in questa ipotesi non sarebbe nemmeno configurabile un diritto del fondo di agire nei confronti del debitore (datore di lavoro) del creditore (lavoratore).

Non è questa la sede per approfondire gli aspetti critici di questa prospettiva, anche con riferimento alla maturazione e alla esigibilità dei ratei di tfr (anche alla luce del c.d. quir).

Va puntualizzato che alla medesima soluzione si dovrebbe arrivare qualora i contributi, diversi dal conferimento del tfr, non fossero che una trattenuta operata dal datore di lavoro sulla retribuzione del lavoratore.

Al di là di tali posizioni dottrinali, va dato atto che la giurisprudenza ritiene per lo più che il fondo sia sempre delegatario (anche nel caso di conferimento della retribuzione normale o differita al fondo), e come tale legittimato ad agire nei confronti del datore per il versamento di tali somme; ma che, se il fondo rimane inerte nel recupero dei contributi non versati (anche per una valutazione inerente la propria funzione o l’impiego delle proprie risorse), è indubbio che il lavoratore possa agire per far valere il diritto al pagamento delle quote a titolo contributivo non versate.
Così sul punto, ad esempio, Trib. Milano 354/14 e, su posizione analoga, anche l’orientamento di Trib. Treviso.

Tra le varie opzioni solutive, va ricordato (pur con qualche riserva, visto che si ritiene che sussista la titolarità in capo al lavoratore del credito e alla tutela della posizione individuale) l’art. 2900 c.c.

Soluzioni operative.
In definitiva, appare del tutto lecita l’opzione del Fondo, che abbia debitamente informato il lavoratore aderente della posizione individuale, di comunicare a quest’ultimo, che lo abbia sollecitato ad attivarsi, la propria intenzione di non agire per il recupero dei crediti non versati.

La maggior parte dei tribunali (a prescindere dai singoli orientamenti sopra richiamati) ammette ed accetta l’insinuazione al passivo del lavoratore, eventualmente subordinandola alla comunicazione formale del fondo di attivarsi per il recupero dei crediti contributivi.

Residua solamente l’ipotesi in cui il giudice fallimentare ritenga di ravvisare nel fondo pensione l’unico soggetto legittimato all’insinuazione nello stato passivo dei crediti per contributi non versati dal datore.

In questi casi residuali, si segnala che la Covip, rispondendo nell’ottobre 2010 a un quesito in materia di legittimazione all’insinuazione nello stato passivo della procedura fallimentare del datore di lavoro inadempiente, ha espresso l’avviso (cui ci si associa) che
sia opportuno che il fondo stesso si uniformi alla disposizione del Giudice e ponga in essere gli adempimenti necessari per la tutela degli interessi dell’iscritto. Ciò, anche avuto riguardo al fatto che l’insinuazione nello stato passivo costituisce un presupposto per l’attivazione da parte dell’aderente delle prestazioni erogate dal Fondo di garanzia, unico presidio specifico apprestato attualmente dall’ordinamento per tutelare gli iscritti dalle omissioni contributive di parte datoriale. Qualora il fondo pensione si attivi per la tutela del credito, è opportuno che lo stesso si faccia rilasciare dall’iscritto un’apposita delega recante anche l’indicazione dell’importo del credito, conoscibile nel preciso ammontare solo dal lavoratore”.

 

credits:
RICCARDO VIANELLO, Garanzie e tutela dei diritti, in “La previdenza complementare. L’art. 2123” (a cura di) Maurizio Cinelli, Il Codice Civile. Commentario, Giuffrè, pag. 649