funzionamento e liceità della liberalizzazione e aggiornamento del RUI

 Con la sentenza n. 4/2020 pubblicata il 02.01.2020, il Tribunale di Trento è intervenuto sulla c.d. liberalizzazione del portafoglio: un istituto poco frequentato nelle aule giudiziali, ma che ricopre un’importanza diffusa e rilevante nel mercato assicurativo e nei rapporti tra compagnie preponenti e agenti di assicurazione.

La pronuncia in esame si pone, dunque, come un precedente in grado di affiancare e avvallare la consueta prassi, invalsa da decenni nel settore, dandole crisma d’applicazione giurisprudenziale: sia sotto il profilo della sua definizione e legittimità; sia sotto il profilo della ridefinizione dei rapporti (e quindi dei diritti e degli obblighi) tra impresa e intermediario successivamente alla sottoscrizione dell’accordo di liberalizzazione.

L’importanza della sentenza è dovuta anche al fatto che il Tribunale di Trento è territorialmente competente per uno dei maggiori gruppi assicurativi italiani (nonché il primo per fondazione): sicché l’arresto in commento è potenzialmente destinato a creare un precedente anche per gli altri fori che, al pari di quello tridentino, siano per collocazione territoriale vocati a conoscere con più frequenza di tale materia e più in generale di diritto delle assicurazioni.

La definizione.

Quanto alla definizione di liberalizzazione, il Tribunale di Trento così puntualizza:

Vale premettere che la liberalizzazione deve intendersi quale un accordo tra la compagnia assicurativa e l’ex agente, in forza del quale le parti convengono di sostituire le indennità di fine rapporto con la possibilità di quest’ultimo di mantenere la gestione ordinaria delle polizze, trasferendo alla scadenza concordata i contratti assicurativi ad una nuova compagnia  (…).

 In particolare giova rammentare che con la liberalizzazione del portafoglio aziendale il preponente cede all’agente gli affari rinunciando ai vantaggi economici che ne sarebbero derivati, laddove l’agente ottiene la possibilità di trasferire i contratti dallo stesso gestiti presso un’altra compagnia assicurativa, rinunciando alla indennità di risoluzione del rapporto previste dall’art. 1751 c.c. e dall’ANA 2003.

L’art. 1751 c.c. prevede un sistema indennitario, che vede come presupposto l’impossibilità dell’agente di continuare a lucrare provvigioni sugli affari che rimangano del preponente, stante la cessazione del rapporto agenziale; di talché è evidente che in tale ipotesi le indennità costituiscono un corrispettivo economico a fronte della cessione dei contratti da parte dall’agente ed in favore della preponente all’atto della cessazione del mandato.

Diversamente, nella fattispecie in esame, l’intervenuta liberalizzazione consentendo all’agente di mantenere i guadagni provvigionali, costituisce una alternativa alle indennità previste dall’ANA 2003”.

Più nello specifico, optando per la liberalizzazione del portafoglio, l’intermediario cessa di essere

agente, rinunciando nel contempo definitivamente alle indennità di fine rapporto, come previsto dall’art. 12 Ter co. 1, 3 e 4 dell’Accordo Nazionale Agenti 2007”.

Naturalmente ci si è interrogati, soprattutto in dottrina, sulla liceità di una deroga all’art. 1751 c.c. A riguardo, per brevità è opportuno ricordare:

  1. che la deroga è sempre possibile e lecita laddove sia di miglior favore per l’agente – posizione oramai unanime tra gli interpreti
  2. che l’art. 1751 c.c., con specifico riferimento agli agenti di assicurazione, trova applicazione solo dove non vi siano apposite previsioni – il tutto, in virtù dell’art. 1753 c.c.

Questo secondo assunto – va dato atto – è criticato da parte della dottrina che si occupa di contratto di agenzia; ma è ritenuto assodato e legittimo per chi si occupa più nello specifico degli agenti di assicurazione, i cui connotati – sia economici sia sociali sia imprenditoriali – li distinguono dagli agenti di commercio, tanto che sono stati recepiti a livello normativo sia dal legislatore italiano (fra l’altro per l’appunto, con l’art. 1743 c.c.) che dal legislatore comunitario (direttiva 86/653/CEE; cfr. Corte di Giustizia CE, ordinanza 2003/C146/21).

Il Tribunale di Trento, pur succintamente e incidenter tantum, in merito alla liberalizzazione ha statuito che la

legittimità è stata riconosciuta da Cass. nn. 18203/2002 e 10853/2000, nonché da Trib. Milano n. 12129/2005, secondo cui “è meritevole di tutela, in quanto migliorativo, l’accordo di liberalizzazione del portafoglio agenziale assicurativo, disciplinato per la prima volta dalla contrattazione collettiva del 2003, in forza del quale l’agente rinuncia alle indennità di risoluzione del rapporto in cambio della facoltà di trasferire i contratti ad altra compagnia più redditizia, conseguendo così lo scopo principale dell’accordo, cioè il recupero della redditività dell’agenzia”.

In definitiva, l’atto di liberalizzazione costituisce un patto con il quale – per accordo tra le parti o su richiesta dell’agente – quest’ultimo scambia l’indennità di fine rapporto con la gestione temporanea delle polizze con lo scopo di trasferirle alla sua nuova preponente: la scommessa imprenditoriale consiste nella possibilità di mantenere con sé gli assicurati, appoggiandoli sulla nuova mandante, e continuando a lucrare le provvigioni su quei contratti che (senza liberalizzazione) sarebbero rimasti alla ex preponente.

I nuovi rapporti tra compagnia e intermediario e l’aggiornamento del Registro Unico Intermediari

Ci si può chiedere, allora, se l’accordo di liberalizzazione, per il periodo della sua durata, mantenga in essere un rapporto agenziale tra compagnia e intermediario, visto che quest’ultimo prosegue, seppure temporaneamente, nella gestione delle polizze dell’ormai ex preponente. Sul punto – come vedremo – l’Accordo Nazionale Agenti è decisamente chiaro.

E tuttavia vale la pena riportare la parte di sentenza che si occupa di questo aspetto; e che risponde alla lamentela dell’ex agente, il quale riteneva non corretto che, una volta siglato l’accordo di liberalizzazione, la compagnia avesse comunicato all’Ivass (per la conseguente pubblicazione sul Registro Unico Intermediari) che egli non era più suo agente.

A chi scrive è noto che non poche compagnie comunicano all’Ivass che l’intermediario ha cessato di operare come loro agente solo dopo la cessazione della liberalizzazione. E tuttavia, dato testuale alla mano, va ritenuta più corretta la prassi di quelle compagnie, tra cui quella protagonista della sentenza, che danno questa comunicazione all’Ivass sin dall’inizio della liberalizzazione.

Dello stesso parere è anche il giudicante che, alla luce di quanto espressamente previsto dall’Accordo Nazionale Agenti incluso il suo allegato A, ha così deciso:

Né appare condivisibile l’affermazione di parte attorea, secondo cui “E’ notorio che durante il periodo di liberalizzazione l’Agente continua ad essere considerato tale a tutti gli effetti…” (v. pag. 12 atto di citazione).

Invero, giova rammentare che la liberalizzazione presuppone l’intervenuta cessazione dal rapporto agenziale, come si evince dall’art. 12 ter ANA, il quale al co. 1 recita: “…. ferma restando l’efficacia del recesso, l’agente potrà scegliere tra il pagamento degli indennizzi e la liberalizzazione del portafoglio gestito dall’agenzia…”, prevedendo il co. 3 che “l’impresa… consente all’agente cessato, nel rispetto degli assicurati, di trasferire ad altre imprese i contratti di assicurazione in carico all’agenzia alla data di cessazione del rapporto”.

A ciò si aggiunga che l’art, 2 del modello di accordo di liberalizzazione di cui all’allegato A prevede che “Il rapporto di agenzia di cui in premessa è risolto dalla data in cui il presente accordo sottoscritto dall’agente è pervenuto all’impresa ai sensi del III comma dell’art. 12 Ter ANA 2003, e comunque non oltre il 30 ° giorno dalla comunicazione del recesso, come previsto dal I comma dell’art. 12 Ter ANA 2003”.

D’altro canto il rapporto che si instaura a seguito dell’accordo di liberalizzazione non può essere qualificato come agenziale in quanto ai sensi dell’art. 4 all. A “Durante il suddetto periodo l’agente non potrà stipulare nuove polizze, né concludere affari e incrementare quelli esistenti, e comunque non potrà svolgere alcuna attività promozionale diretta o indiretta per conto dell’impresa” (v. anche art. 3 Accordo di liberalizzazione).

Da ultimo, e appare dirimente sul punto l’art. 17 all. A stabilisce che “Il rapporto tra agente e impresa inerente il presente accordo di liberalizzazione non è assoggettato né all’ANA 2003 né agli artt. 1742 -1752 del codice civile”, con ciò escludendo espressamente l’attività agenziale, così come definita dall’art. 1741 c.c. e dall’art. 106 Cod. Ass.”

In sostanza, sotto il regime della liberalizzazione l’intermediario incaricato ha il solo compito di gestire le polizze sino alla prima scadenza di premio (annuale o rateale): a quel momento, l’assicurato potrà scegliere tra la disdetta della polizza con sottoscrizione di una nuova presso la nuova preponente dell’intermediario, e la conferma della polizza col vecchio assicuratore (nel qual caso verrà assegnato ad altro agente). L’intermediario, durante la liberalizzazione, non può invece rinnovare le polizze né stipularne di nuove per conto dell’ex preponente.

Non svolge dunque le attività tipiche dell’agente per l’ex compagnia, e pertanto l’aggiornamento del RUI andrà fatto più correttamente proprio all’inizio della liberalizzazione.

«RINNOVO DELL’ANA 2003? CI ASPETTIAMO MAGGIORI CONCESSIONI DALLE COMPAGNIE»

«Il rinnovo dell’Accordo nazionale agenti del 2003? Da tempo stiamo lavorando allo studio di possibili ipotesi e a questo proposito vorrei ricordare che la contrattazione nazionale dovrebbe sempre riservare maggiori risultati alla parte debole del rapporto, per cui dal rinnovo dell’Ana ci aspettiamo maggiori concessioni dalle compagnie».

leggi l’articolo su tuttointermedari.it

leggi qui sull’attuale vigenza dell’Accordo Nazionale Agenti

La coassicurazione

Con l’istituto della coassicurazione, più imprese assicuratrici assumono in comune e per quota un certo rischio.


La nozione giuridica risultante dall’art. 1911 c.c. postula una struttura oggettivamente unitaria, trattandosi del medesimo rischio o di rischi riguardanti il medesimo bene; ma soggettivamente composita dal lato degli assicuratori, dato che essi, d’accordo tra di loro e con il contraente, prestano la garanzia frazionatamente, e quindi assumendo distinte posizioni giuridiche nei confronti dell’unico assicurato in rapporto alla misura della rispettiva partecipazione al rischio.
Si tratta, dunque, di obbligazione parziaria, non sussistendo tra i coassicuratori alcun vincolo di solidarietà. Il che è conseguenza logica del contratto di coassicurazione, la cui ratio è proprio la ripartizione del rischio tra diversi assicuratori.

Il contratto di coassicurazione può essere concluso essenzialmente in due diverse maniere:
mediante più contratti, uno per ciascun coassicuratore, con polizze diverse;
mediante un unico contratto, al quale intervengono tutti gli assicuratori interessati, e con il relativo rilascio di un’unica polizza.

In Italia, il sistema più diffuso è quello della polizza unica, con una partecipazione pro quota dei vari assicuratori, e conclusa da uno solo di loro per conto di tutti.

Fermo restando quanto anzidetto, ossia che il contratto di coassicurazione genera separati rapporti giuridici, in ordine ai quali ciascun coassicuratore diviene titolare di singole distinte posizioni soggettive sostanziali e processuali, per ragioni di semplicità operativa è d’uso ricorrere ad un particolare strumento negoziale, rappresentato dalla cd. clausola di delega.

Clausola di delega.
Con tale clausola, i coassicuratori affidano ad uno solo (il delegatario) l’incarico di gestire la polizza, delegandolo a compiere una serie di atti. Si tratta di un mandato collettivo in rem propriam (realizzazione di un affare di comune interesse). Detta clausola riguarda esclusivamente la fase di conclusione e di gestione del contratto, e non incide sulla struttura genetica dello stesso.

In giurisprudenza è pacifico che la clausola di delega possa contemplare il potere per il delegatario di stipulare la polizza in nome e per conto di tutti i coassicuratori, attraverso l’attribuzione di un potere di rappresentanza disciplinato dagli artt. 1387 e ss. c.c.

In questi casi, la compagnia delegataria potrà procedere alla vendita diretta, ovvero avvalersi della propria rete distributiva, sulla base del proprio rapporto agenziale o in genere di preponenza. Nella prassi, una clausola di delega alla stipulazione con rappresentanza contempla espressamente entrambe le ipotesi.

Qualora l’assicuratore sottoscriva una polizza in nome e per conto di un altro coassicuratore, senza il rilascio di valida procura (o successiva ratifica), può essere chiamato a rispondere dall’assicurato, a titolo di responsabilità contrattuale, solo nei limiti della quota di sua pertinenza, salvo restando la diversa responsabilità extracontrattuale, quale falsus procurator ai sensi dell’art. 1398 c.c., in ordine al danno che l’assicurato medesimo abbia subito per aver confidato nella validità dell’intero contratto.

In altri casi, la delega rimane circoscritta alla fase di esecuzione e gestione della polizza, alla cui stipulazione intervengono invece tutti i singoli coassicuratori. Anche in tali casi, ciascuna compagnia potrà avvalersi della propria rete distributiva, ma con la specificazione che nella fase di emissione dovranno intervenire tutti i relativi intermediari.

Da tanto si evince che:

  1. ciascuna delle coassicuratrici può attendere all’esecuzione della polizza, e quindi alla gestione del rapporto contrattuale e dei sinistri, anche in nome e per conto dell’altra;
  2. la sottoscrizione ovvero la modifica del contratto implicano, invece, la presenza di ciascuna coassicuratrice, in modo tale che né la delegataria né la condelegataria possano stipulare la polizza in nome e per conto dell’altra, e quindi impegnarsi contrattualmente senza previo vicendevole consenso.

La gestione e liquidazione del sinistro in caso di coassicurazione.
Alla luce di quanto sopra, ciascuna impresa di assicurazione sarà tenuta a gestire e liquidare il sinistro pro quota, e cioè solamente per quella porzione di rischio che s’è impegnata a coprire e tenere indenne.

CODELEGA. Tuttavia, è frequente tra le coassicuratrici utilizzare il sistema della (co-)delega anche e soprattutto per la gestione del sinistro: in tal caso, la compagnia delegataria sarà tenuta a gestire tutte le fasi e a procedere alla liquidazione materiale. Resta fermo il principio per cui ciascuna compagnia, tramite gli uffici liquidativi della delegata, concorrerà pro quota al versamento della parte di rischio assunta.

Differenze con la riassicurazione.
I due istituti della coassicurazione e della riassicurazione traggono origine da una medesima ratio e condividono altresì analoghi scopi: concettualmente e operativamente, dunque, presentano forti affinità. Tuttavia, accanto a tali similarità, si deve tener conto di alcune diversità che comportano, dal punto di vista giuridico, una netta distinzione tra le due fattispecie. E sono le medesime imprese di assicurazione che, prediligendo un modello operativo piuttosto dell’altro, decidono se operare in coassicurazione, o se invece dar luogo ad una riassicurazione.

Entrambe queste figure perseguono la ripartizione dei rischi – che è alla base del procedimento tecnico assicurativo – attuandola tra più imprese di assicurazione, a compensazione tra i casi sfavorevoli e quelli favorevoli di una massa omogenea di rischi: in senso verticale, mediante la riassicurazione; in senso orizzontale, mediante la coassicurazione.

Tanto si evince dal raffronto tra l’art. 1911 e l’art. 1929 c.c.: nella coassicurazione, l’assicurato stringe un rapporto contrattuale con tutti i coassicuratori; nella riassicurazione, invece, il rapporto contrattuale si crea solo tra l’assicuratore e il riassicuratore, lasciandone estraneo l’assicurato.

Con la riassicurazione non si assiste – a differenza della coassicurazione – ad una assunzione in comune e diretta di un medesimo rischio da parte di più imprese assicuratrici. Al contrario, la compagnia di assicurazione assume integralmente il rischio coperto, ed integralmente ne risponderà all’assicurato. Soltanto, assicura a sua volta (riassicura, per l’appunto) parte o la totalità di questo rischio presso altra compagnia. In sostanza, si crea un rapporto in cui un assicuratore cede ad un altro soggetto parte o tutti i rischi che ha assunto in via diretta dall’assicurato così localizzandoli, nei confronti di quest’ultimo, interamente presso di sé.

Una particolare modalità di riassicurazione è il cd. fronting: specifica forma di riassicurazione totale facoltativa, che ha luogo quando l’assicuratore cede totalmente o quasi il rischio al riassicuratore, il quale, di solito, ne determina anche le condizioni normative e tariffarie. L’assicuratore si limita a prestare la propria qualifica di assicuratore diretto, ricevendo per questo una commissione detta fronting fee. In questo tipo di operazione – così come in ogni caso di riassicurazione – l’assicuratore che fa fronting è obbligato nei confronti dell’assicurato per l’intero rischio, indipendentemente dal fatto che il riassicuratore indennizzi o meno il sinistro.

Differenze con l’assicurazione presso diversi assicuratori.
La coassicurazione si distingue anche dall’istituto disciplinato all’art. 1910 c.c.: in quest’ultimo caso, infatti, per il medesimo rischio sul medesimo bene sono contratte separatamente più assicurazioni presso diversi assicuratori, e l’assicurato è tenuto a darne notizia a ciascun assicuratore per evitare indebite duplicazioni dell’indennità.

Adesione delle imprese di assicurazione al sistema di prevenzione Scipafi

Dal 17 agosto 2015 anche le Compagnie di assicurazione sono obbligate ad aderire al sistema di prevenzione denominato Scipafi.

Le modalità di adesione, e cioè di accreditamento presso la Consap SpA, sono disciplinate all’art. 4 del Regolamento (decreto MEF 19 maggio 2014, n. 95), e si risolvono nella compilazione ed invio telematici dell’allegato 1 al Regolamento.
Successivamente all’accreditamento, Consap comunicherà la quantificazione dell’importo del contributo una tantum di adesione, e verrà stipulata una convenzione sulla base di uno schema-tipo predisposto secondo le indicazioni del Garante della Privacy.

Si ritiene condivisibile l’interpretazione di Ania (cfr. prot. 0207 dd. 08.06.15), secondo la quale le imprese assicuratrici non sono invece assoggettate all’obbligo di consultazione dell’archivio Consap-Scipafi.
Infatti, le prestazioni di assicurazione decorrono solo una volta che il premio (o il suo rateo) relativo al periodo coperto sia stato versato: sicché non v’è alcun rischio che vengano fornite prestazioni senza compenso.

Ciò vale, a condizione tuttavia che le c.g.a. non prevedano una deroga all’art. 1901 c.c.: per cui, qualora in alcune circostanze fosse previsto che l’assicuratore garantisce comunque la copertura nonostante il mancato pagamento del premio, allora in questi casi si renderebbe necessaria la preventiva consultazione dell’archivio.

Altrettanto condivisibile è l’esclusione delle imprese di assicurazione dall’obbligo di inviare copia del contratto all’indirizzo del contraente, dove per indirizzo è da intendersi quello risultante dai registri anagrafici (e non quello comunicato dal contraente).
Questa misura è evidentemente volta a portare a conoscenza dell’indirizzo anagrafico la conclusione del contratto: solitamente, infatti, nei furti d’identità viene anche utilizzato l’indirizzo di un’altra persona, proprio per eludere la rintracciabilità del contraente.
L’esclusione anche in questo caso trae ragione da quanto già osservato prima relativamente al pagamento dei premi, che di norma per le prestazioni assicurative avviene prima dell’inizio del periodo di copertura, di modo che in assenza di pagamento le garanzie sono sospese.

Di ciò pare aver preso atto anche il legislatore, visto che distingue chiaramente il settore assicurativo da quello del credito al consumo e pagamenti dilazionati – come risulta dal confronto tra il comma 1, art. 30ter, e il comma 1, lett. b, art. 30quater, d.lgs. 141/2010.

D’altra parte, l’art. 30quinquies prevede la facoltà, e non l’obbligo, di effettuare un riscontro tra i dati ricevuti dal soggetto in caso di dilazione del premio con quelli detenuti da organismi pubblici o privati.

Rimangono invece pienamente applicabili anche alle Compagnie gli obblighi di segnalazione.
In particolare, a partire dal 16 gennaio 2016 esse sono obbligate a inviare le informazioni sulle frodi subite e sul rischio di frodi per tutte le prestazioni assicurative.
Queste informazioni, normativamente indicate agli artt. 11 e seguenti del Decreto MEF 95/2014, vanno inviate telematicamente tramite il sistema Scipafi.

Come specificato dalle circolari MEF e Ania, è bene anche qui ribadire, in conclusione, quando si intendono integrate le situazioni oggetto dell’obbligo di comunicazione.
Tali situazioni sono quelle in cui vi sia il rischio di frode o la frode accertata, attraverso il furto d’identità.

Nel nostro ordinamento la nozione di “furto d’identità” ricorre unicamente all’art. 30bis del d.lgs. 141/2010, e ricorre quando un soggetto utilizza i dati di altro soggetto (inclusi quelli del reddito).

Per rischio di frode l’art. 12 del Regolamento MEF intende il ricorrere di almeno tre incongruenze tra i dati forniti dal soggetto e quelli rinvenibili nell’Archivio Scipafi o presso altri elenchi legittimamente tenuti da organismi pubblici o privati (anche degli stessi aderenti che raccolgono i dati per l’operazione contrattuale).

Per frode accertata s’intende la situazione in cui il soggetto, che è stato vittima del furto d’identità, abbia: (a) disconosciuto l’operazione finanziaria (incluse quelle di natura assicurativa) posta in essere dal soggetto agente con l’utilizzo dei dati della vittima; e pertanto (b) presentato denuncia all’Autorità Giudiziaria.

E’ evidente che, mentre nel caso della frode accertata è il soggetto vittima del furto che ne dà informazione anche alla compagnia assicurativa (disconoscendo ad esempio una polizza di capitalizzazione); nei casi di rischio di frode, al contrario, le incongruenze vengono rilevate direttamente dal soggetto aderente a Scipafi (tra cui, per l’appunto, anche le Compagnie).

Nel caso di segnalazioni per rischio di frode, la procedura di rilevamento e comunicazione a Scipafi da parte della Compagnia comporta le seguenti tempistiche:

  1. invio (telematico tramite il Sistema) dei dati apparentemente ‘incongruenti’ e relative informazioni, entro il primo giorno lavorativo successivo a quello di acquisizione;
  2. apertura del periodo di monitoraggio da parte dell’Ente gestore del Sistema;
  3. conclusione del monitoraggio entro 15 giorni dall’invio di cui al punto i), che si conclude con l’accertamento della frode o con l’eliminazione dell’operazione dall’archivio. La conclusione del monitoraggio è onere dell’Ente gestore.