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È al vaglio al Senato, proprio in questi giorni, il disegno di legge n. 755 dd. 07.08.2018 (qui il link), avente ad oggetto “modifiche al procedimento monitorio ed esecutivo per l’effettiva realizzazione del credito“. Il d.d.l., per quel che interessa in questa sede, prevede l’introduzione di un’ulteriore procedura di recupero credito in via monitoria, da affiancare dunque a quella “tradizionale” di cui all’art. 633 c.p.c.. Questo il testo dell’art. 656bis c.p.c., nella formulazione proposta nel disegno di legge:
Art. 656- bis – (Atto di ingiunzione di pagamento) – L’avvocato munito di mandato professionale, su richiesta dell’assistito che sia creditore di una somma liquida di danaro, emette un atto di ingiunzione di pagamento con cui ingiunge all’altra parte di pagare la somma dovuta nel termine di venti giorni, con l’espresso avvertimento che nello stesso termine può essere fatta opposizione a norma degli articoli seguenti e che, in mancanza di opposizione, si procederà a esecuzione forzata: a) se del diritto fatto valere si dà prova scritta ai sensi dell’articolo 634; b) se il credito riguarda onorari per prestazioni giudiziali o stragiudiziali o rimborso di spese fatte da avvocati, cancellieri, ufficiali giudiziari o da chiunque altro ha prestato la sua opera in occasione di un processo; c) se il credito riguarda onorari, diritti o rimborsi spettanti ai notai a norma della loro legge professionale, oppure ad altri esercenti una libera professione o arte, per la quale esiste una tariffa legalmente approvata. Nell’atto di intimazione sono quantificate le spese e le competenze e se ne ingiunge il pagamento.
Nella sostanza, il procedimento monitorio nella sua nuova veste, alternativa ed ulteriore rispetto a quella attuale, si svilupperebbe come atto di parte, il cui impulso sarebbe affidato al legale del creditore: in questa fase non sarebbe dunque necessario alcun vaglio né provvedimento giudiziale. La ratio dichiarata della proposta è quella di introdurre un meccanismo di alternative dispute resolution. Nello stesso testo del d.d.l. si legge quanto segue:
In buona sostanza è il difensore di parte che accerta gli elementi di cui all’articolo 633 del codice di procedura civile, che il disegno di legge riproduce nel nuovo articolo 656- bis, eliminando, per talune ipotesi, quel mero «accertamento notarile» che oggi è svolto dai giudici civili e che tuttavia ha un notevole costo per l’amministrazione della giustizia provocando un rallentamento ed un impatto negativo sulle aspettative di giustizia dei cittadini e delle imprese.
Viene peraltro specificato come, anzitutto, l’ingiunzione di pagamento inviata dal legale non potrà avere alcuna efficacia esecutiva, neppure provvisoria, se non in caso di mancata opposizione del ricevente nei termini indicati dalla norma. In via ulteriore, si è tentato di assicurare comunque un preventivo vaglio rispetto alla fondatezza del credito, affidando tale attività allo stesso legale e prevedendo l’introduzione del seguente articolo:
Art. 656- ter – (Verifica dei presupposti) – È onere dell’avvocato che emette l’ingiunzione, a pena di responsabilità civile e disciplinare, verificare la sussistenza dei requisiti previsti dall’articolo 656- bis. Nel caso in cui l’avvocato ometta con dolo o colpa grave la puntuale verifica della sussistenza di tali requisiti, ne risponde disciplinarmente dinnanzi al competente ordine professionale e deve rimborsare le spese giudiziarie sostenute e i danni subiti dal soggetto erroneamente ingiunto. [omissis]
L’eventuale opposizione del debitore, sempre secondo la prospettazione del disegno di legge n. 755/2018, dovrà essere proposta nella forma del ricorso (e non già, dunque, dell’atto di citazione) sempre nel termine di venti giorni dal ricevimento dell’ingiunzione, decorso infruttuosamente il quale il creditore potrà agire forzatamente. Il contenuto del d.d.l. e, segnatamente, lo strumento processuale che lo stesso si propone di introdurre con la (pur meritoria) finalità di rendere più snello e meno macchinoso il recupero del credito, desta non poche perplessità.
Anzitutto, ad avviso di chi scrive l’ingiunzione “di parte” potrebbe andare incontro a possibili censure dal punto di vista della sua legittimità costituzionale, con particolare riguardo all’art. 24 Cost.. Lo strumento processuale di cui al tratteggiato art. 656bis c.p.c. pare infatti sottrarre al necessario ed indefettibile vaglio di un organo giurisdizionale l’emissione di un atto che, in assenza di opposizione negli stretti termini temporali indicati nella proposta di legge, è destinato ad esplicare effetti estremamente incisivi nella sfera giuridica del debitore, e tutto ciò in lesione del suo diritto di difesa costituzionalmente garantito.
In secondo luogo, proprio in quanto atto di parte si ritiene che lo strumento processuale in parola possa prestarsi a possibili storture applicative, rese più improbabili a fronte del controllo giurisdizionale, pur a vocazione prevalentemente formalistica, previsto dall’attuale assetto del procedimento monitorio. Storture che difficilmente potranno essere scongiurate dagli strumenti di responsabilizzazione del legale della parte creditrice, stante il fatto che da quest’ultimo difficilmente potrà essere pretesa una verifica che vada oltre l’esistenza e apparente regolarità della documentazione posta a base dell’asserito credito.
Al contrario, ad avviso di chi scrive pare meritevole di approfondita valutazione la proposta di introduzione dell’art. 492ter c.p.c., grazie al quale sarebbe possibile per il creditore, previa autorizzazione del Presidente del Tribunale territorialmente competente, accedere ad informazioni relative ai beni da pignorare del debitore. Ciò, chiaramente, andrebbe a chiaro vantaggio della parte creditrice, la quale potrebbe valutare la convenienza e l’opportunità di un’azione monitoria prima di darvi corso, così da avere piena consapevolezza di potenzialità, costi e rischi.