L’impugnazione da parte dell’assicurazione impedisce il passaggio in giudicato della sentenza erga omnes

leggi su quotidianogiuridico.it

In caso di chiamata in causa in garanzia dell’assicuratore della responsabilità civile, l’impugnazione esperita esclusivamente dal terzo chiamato avverso la sentenza che abbia accolto sia la domanda principale di affermazione della responsabilità del convenuto e di condanna dello stesso al risarcimento del danno, che la domanda di garanzia da costui proposta, giova anche al soggetto assicurato, senza necessità di una sua impugnazione incidentale.

A confermarlo è la Corte di cassazione con sentenza dell’11 aprile 2017, n. 9250.

Intermediari assicurativi e quantificazione degli oneri di sicurezza

di Rosalba avv. Colasuonno

E’possibile per l’intermediario assicurativo, a determinate condizioni, esporre costo zero alla voce oneri della sicurezza nell’offerta di partecipazione a una gara pubblica.

Abbiamo già visto come l’aggiudicazione ed esecuzione di un contratto d’appalto pubblico non comporti necessariamente l’aumento o l’integrazione ad hoc di spese per oneri della sicurezza specifici.

La quantificazione degli oneri aziendali della sicurezza è, dunque, rimessa al singolo concorrente in ragione del fatto che sono quelli

afferenti all’esercizio dell’attività svolta da ciascun operatore economico (detti anche, in giurisprudenza piuttosto che in dottrina, costi ex lege, costi propri, costi da rischi specifici o costi aziendali necessari per la risoluzione dei rischi specifici propri dell’appaltatore), relativi sia alle misure per la gestione del rischio dell’operatore economico, sia alle misure operative per i rischi legati alle lavorazioni e alla loro contestualizzazione.

L’indicazione degli oneri inerenti alla sicurezza aziendale deve necessariamente essere riferita esclusivamente alle

voci di oneri effettivamente sostenute o da sostenere in relazione allo specifico appalto dal concorrente e per le quali lo stesso dovrà fornire su richiesta della stazione appaltante le relative giustificazioni.

Date tali premesse è evidente che il contenuto delle prestazioni oggetto di appalto può essere tale da non comportare livelli di rischio afferenti al tema della salute e della sicurezza, né, nell’ottica di una lettura costituzionalmente orientata delle disposizioni in esame, può ritenersi sussistente un onere dichiarativo di costi ontologicamente inesistenti.

A maggior ragione nel caso di prestazioni aventi natura prettamente intellettuale, in cui nessuna attività è richiesta al di fuori dei locali dell’impresa prestatrice del servizio o comunque presso le sedi della stazione appaltante, stante

la riconosciuta illegittimità di clausole che obbligano i concorrenti a specificare nella propria offerta la consistenza degli oneri per la sicurezza in assenza conclamata di rischi, appare assolutamente meccanicistico e del tutto non pertinente con gli interessi sostanziali dell’Amministrazione l’applicazione di una norma basilare nel presidio di situazione giuridiche massimamente rilevanti, ma che anch’essa, anche per la sua natura centrale, va rispettata nei casi in cui sussistano quelle ragioni che è chiamata a presidiare” (Consiglio di Stato sez. V, 22.1.2014 n. 330).

I principi qui sopra espressi sono chiaramente applicabili ai servizi di brokeraggio assicurativo qualora l’attività, di ordine prettamente intellettuale, sia destinata a svolgersi in via esclusiva presso la sede della Società.

Né la complessa natura giuridica del contratto di brokeraggio assicurativo, riconducibile non solo all’attività di mediazione, ma anche quella di consulenza, vale a contraddire tale assunto posto che  anche lo

svolgimento di un’attività di intermediazione da parte del suo esecutore, mediante il compimento di operazioni di natura principalmente negoziale (…) in assenza pertanto di un’attività avente rilievo materiale, potenzialmente fonte di pericoli per i lavoratori coinvolti nella stessa(…) rientra pertanto a pieno titolo tra quelle eccezionalmente escluse dalla citata giurisprudenza del Consiglio di Stato (Sez. V, n. 5651/2015 e n. 1051/2016) dall’obbligo di indicazione degli oneri aziendali nell’offerta economica, trattandosi di servizi aventi ad oggetto un’attività prevalentemente intellettuale, nel senso chiarito dalla stessa, e quindi, in cui le prestazioni materiali sono del tutto marginali” (TAR Milano sez  IV, 21.4.2016 n. 755, conforme Consiglio di Stato, sez. V, 19.1.2017, n. 223 ) .

Si deve escludere altresì che l’entrata in vigore del nuovo Codice abbia sostanzialmente inciso su tali approdi giurisprudenziali.

Del resto anche la giurisprudenza che per prima ha avuto modo di pronunciarsi sulla nuova disposizione ha ritenuto che

in relazione alla dedotta violazione della norma di cui all’art. 95 comma 10 d.lgs. 50\2016 per mancata indicazione dei costi in materia di salute e sicurezza, pur condividendo l’impostazione di parte ricorrente circa la doverosità dell’indicazione ora imposta dalla norma, nel caso di specie l’offerta della controinteressata è stata accompagnata dalla compilazione del previsto modulo anche sul punto in questione;  considerato che, pur dinanzi ad un valore a prima vista del tutto anomalo (indicato come pari a 0), il dato formale dell’indicazione dei presunti costi sussiste, cosicchè la verifica in capo alla stazione appaltante si sposta sul versante dell’eventuale sostenibilità ed anomalia dell’offerta, non certo sul dedotto profilo formale della violazione della norma invocata” (T.A.R. Liguria-Genova, Sez.I, 2.3.2017, n. 163).

Né una diversa lettura del dettato normativo, potrebbe ritenersi costituzionalmente legittima.

Infatti laddove l’art. 95 comma 10 del D. Lgs. 50/2016 venisse intrepretato nel senso di imporre alle imprese concorrenti, a prescindere dall’oggetto della gara, di sostenere e dichiarare in una percentuale superiore allo zero oneri di sicurezza effettivamente e strutturalmente inesistenti, si porrebbe in evidente contrasto con:

(i) l’art. 41 Cost., poiché esigere il pagamento di oneri aggiuntivi non previsti per legge solo da parte di alcune imprese porrebbe un ingiustificato ostacolo al pieno dispiegamento del principio della libertà di iniziativa economica privata, impedendo che la concorrenza tra le imprese si svolga in condizioni paritarie;

(ii)  con gli art. 2 e 3 Cost. perché le norme denunciate comporterebbero un trattamento ingiustificatamente diverso tra le varie categorie di imprese (gravando unicamente le imprese attive nel settore dei contratti pubblici, ma non anche quelle che interagiscono con partner privati).

Tra l’altro si tenga presente che il fatto che la Stazione appaltante ritenga inammissibili “costi aziendali interni della sicurezza pari a 0 (zero)” (indicando quindi un valore presunto) non è neppure compatibile – dal punto di vista logico prima che giuridico – con  l’assunto per cui l’“indicazione degli oneri di sicurezza aziendali è rimessa alle singole imprese partecipanti, dato che trattasi di valutazioni soggettive rimesse alla loro esclusiva sfera valutativa. [in quanto n.d.r.] tale tipologia di oneri (…) varia da un’impresa all’altra ed è influenzata dalla singola organizzazione produttiva e dal tipo di offerta formulata da ciascuna impresa” (Adunanza plenaria 20 marzo 2015, n. 3).

 

Il broker assicurativo e gli appalti pubblici

L’attività del broker è ricompresa nella definizione di intermediazione assicurativa dettata dall’art. 106 d.lgs. 209/2005, consistente nel presentare o proporre prodotti assicurativi, o nel prestare assistenza e consulenza finalizzate a tale attività e, se previsto dall’incarico, nella conclusione dei contratti o nella collaborazione alla gestione o esecuzione, segnatamente nel caso di sinistri, dei contratti stipulati.

Come specificato dall’art. 109 d.lgs. 209/2005, il broker assicurativo si distingue dagli altri intermediari in quanto esercita un’attività volta a mettere in relazione con le compagnie, delle quali non può essere mandatario, i soggetti che intendano provvedere, con la sua collaborazione, alla copertura dei rischi. A tal fine, riceve specifici incarichi per la ricerca nel mercato e l’individuazione dei prodotti assicurativi meglio rispondenti alle esigenze dei suoi clienti.

Il broker, dunque, è essenzialmente un esperto del settore  assicurativo, al quale si rivolgono i soggetti per ottenere l’analisi, l’inquadramento e le condizioni economiche e normative migliori per la copertura dei rischi che intendono assicurare (così Fabio Amabili in Brokeraggio assicurativo: natura giuridica, obblighi e responsabilità)

Questa è la cifra distintiva propria dei broker e degli agenti, che rispetto agli altri intermediari assicurativi e ai tipici mediatori, non promuovono un singolo affare ma prima ancora la cultura assicurativa (Cass. 9836/2001 – v. qui).

Tale fattispecie atipica caratterizza l’attività del broker coi due elementi della mediazione e della consulenza. Tanto che in giurisprudenza frequente è la massima che lo individua quale mediatore qualificato, visto che la sua attività di mediazione deve essere il risultato di un’attività di assistenza e collaborazione col soggetto assicurando, parte debole del contratto, per individuarne le esigenze particolari e scegliere le condizioni migliori e più adatte (così marco Rossetti in Il diritto delle assicurazioni – vol. I – pag. 605)

La natura mista del contratto di brokeraggio, cui ormai da tempo ha aderito la giurisprudenza di legittimità, evidenzia proprio che la sua attività mediatizia è connotata da questi profili intellettuali.

Proprio per questo sempre più spesso gli enti pubblici ricorrono ai servizi dei broker, dovendo garantirsi di un’apposita e adeguata garanzia per i molteplici rischi insiti nelle attività svolte. (v. ancora così Fabio Amabili in Brokeraggio assicurativo: natura giuridica, obblighi e responsabilità

Infatti, rispetto agli altri incarichi, quelli svolti per la Pubblica Amministrazione richiedono e prevedono principalmente la prestazione intellettuale di consulenza e assistenza professionale, rispetto a quella tipica di intermediazione che invece è devoluta per legge ad apposita gara e non alla libera attività del broker.
Per gli enti pubblici il broker è chiamato soprattutto a valutare i rischi, ad assistere nell’impostazione dei programmi assicurativi necessari, e a mettere a punto i bandi di gara per la selezione degli assicuratori e la determinazione del contenuto della polizza assicurativa, oltre che ad affiancarli nella successiva fase di gestione ed esecuzione dei contratti assicurativi.
Come facilmente se ne ricava, la prestazione intellettuale prevale di gran lunga in questi casi sulla quasi assente attività di mediazione.

Quale che sia la natura del broker, commerciale o invece intellettuale, essa non ha peraltro alcuna ricaduta con riferimento ai presidi e alle misure di sicurezza.
infatti, il broker assisterà l’ente pubblico con la propria struttura, che opererà esattamente allo stesso modo che per gli altri clienti, senza che l’incarico pubblico comporti variazioni di luogo e di attività e quindi di rischio.

Il broker non deve dunque far fronte ad alcun onere di sicurezza aggiuntivo.

Di tale situazione ha preso chiaramente atto il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. V –  N. 01051/2016 ), proprio con riferimento ai broker assicurativi che svolgano la propria attività per enti pubblici ha così correttamente statuito:

 

Oggetto d’appalto è il servizio di consulenza assicurativa e brokeraggio in favore della Regione Liguria, un’attività intellettuale svolta per lo più nei locali dell’impresa prestatrice del servizio.
La consulenza assicurativa s’esaurisce in se stessa, ossia costituisce l’oggetto essenziale e (per chi riconosca la categoria concettuale) il contenuto esclusivo del contratto, senza essere comportare in via complementare, strumentale ed accessoria l’esecuzione di prestazioni materiali che espongano (ad esempio: l’attività di progettazione di oo.pp.) il personale ad eventuali rischi o pericoli.
In definitiva i servizi in questione non presentano i rischi specifici cui applicare la disposizione contenuta all’art. 87, comma 4, d.lgls n. 163/2006 e gli arresti giurisprudenziali richiamati in sentenza (Cons. St., ad. plen. 3 e 9 del 2015) che, testualmente, riguardano i costi inerenti alla sicurezza aziendale per l’esecuzione delle prestazioni dedotte nel contratto oggetto d’appalto.
Che, oltretutto, diversamente da quanto reputa la società appellata, non sono teleologicamente assimilabili ai costi intesi a garantire lo standard legale di sicurezza della sede aziendale ove i dipendenti svolgono le mansioni cui sono ordinariamente addetti.
Né l’onere dichiarativo di costi ontologicamente – ancor prima che giuridicamente – insussistenti è prescritto dall’art. 18 del capitolato speciale
.”

 

CREDITS:

Fabio Amabili in Brokeraggio assicurativo: natura giuridica, obblighi e responsabilità

Marco Rossetti, Il Diritto delle Assicurazioni, vol. I, Cedam 2011, Pag. 605

Spendita dei requisiti tecnico-economici della casa madre estera e oneri dichiarativi di cui all’articolo 38 del codice dei contratti per le società assicurative

 

Consiglio di Stato, sez. III, 22 gennaio 2015, n. 226

Nel caso in cui una società assicurativa di diritto estero con sede secondaria in Italia partecipi ad una gara pubblica facendo valere i requisiti tecnico-economici (fatturato, capacità tecnica) propri dell’intera società, e quindi anche della casa madre straniera,  gli organi rappresentativi della sede estera non sono esenti dagli obblighi dichiarativi di cui all’art. 38, comma 1 del d.lgs. 163/2006.

 Anche a voler ammettere che dalle norme in materia assicurativa discenda una completa autonomia operativa della sede secondaria, ciò non può comportare, una sostanziale disapplicazione della disciplina dell’evidenza pubblica stante l’unitarietà dell’assetto societario, o comunque lo stretto collegamento tra casa madre e sede secondaria.

di Rosalba Colasuonno, avvocato

Questi i principi sanciti dal Consiglio di Stato, Sez. III, con sentenza del 22 gennaio 2015, n. 226.

Nella vicenda in esame una società di diritto francese con sede secondaria in Italia ha presentato offerta in una procedura aperta  per l’affidamento, con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, della convenzione per la polizza di tutela sanitaria “grandi interventi chirurgici” e “gravi eventi morbosi” a favore degli iscritti alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, per il triennio 2014/2016 (valore a base di gara 48 mln di euro).

La Commissione, rilevata l’esistenza di un direttore generale della Società francese (carica apicale della casa madre francese, dotata di ampi poteri di rappresentanza), ne ha escluso l’offerta ritenendo che anche per costui avrebbe dovuto essere resa la dichiarazione sulla sussistenza dei requisiti di ordine generale ex art. 38, d.lgs. 163/2006.

Il Consiglio di Stato, sulla base del presupposto che l’interesse perseguito dalla disposizione sia quello di verificare la condotta di coloro i quali determinano effettivamente le scelte all’interno dell’impresa concorrente, ha ritenuto insufficiente la dichiarazione sui requisiti generali riguardante l’ufficio di rappresentanza in Italia, in mancanza di una dichiarazione riferibile alla società costituita all’estero.

I Giudici di Palazzo Spada, in proposito, hanno ribadito l’orientamento già espresso  dal T.A.R Liguria, II, n. 1485/2008, secondo cui

la stazione appaltante deve accertare non tanto le posizioni soggettive dei dichiaranti, quanto la sussistenza dei requisiti di moralità dell’impresa considerata in maniera unitaria e complessiva (indipendentemente dall’esistenza di una sede secondaria), altrimenti si verificherebbe un’irragionevole disparità di trattamento con imprese stabilite in Italia ed il rischio di una facile elusione dell’art. 38”.

Difatti, nel caso in esame, stante  l’unitarietà dell’assetto societario, o comunque lo stretto collegamento tra casa madre e sede secondaria, la pretesa dell’appellante principale di far rilevare, in sede di verifica dei requisiti di partecipazione, solo i requisiti di carattere generale dei rappresentanti della sede secondaria italiana costituirebbe un’ingiustificata deviazione dal principio della corrispondenza nell’assunzione di “onori ed oneri” che tale collegamento comporta.
Tale interpretazione dell’art. 38, tra l’altro, non solo consentirebbe a società non italiane di aggirare la normativa in materia di cause ostative a detrimento delle imprese nazionali, ma comporterebbe un’illegittima disparità di trattamento tra le imprese estere aventi una sede secondaria in Italia e quelle aventi la sola sede italiana e una conseguente elusione della stessa disposizione di legge.

Sulla base di quanto esposto, il Consiglio di Stato, ha ritenuto legittima l’esclusione e confermando la sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE III, n. 04728/2014 ha rigettato l’appello in quanto infondato.

*****

  1. 00226/2015REG.PROV.COLL.
  2. 03397/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3397 del 2014, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Soc. Harmonie Mutuelle, rappresentata e difesa dagli avv. Mario Tonucci, Alberto Fantini, con domicilio eletto presso Studio Legale Tonucci & Partners, in Roma, Via Principessa Clotilde, 7;

contro

Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, rappresentata e difesa dall’avv. Claudio De Portu, con domicilio eletto presso Claudio De Portu in Roma, Via Flaminia, 354;

nei confronti di

– Unisalute S.p.a., rappresentata e difesa dagli avv. Francesco Scanzano e Filippo Brunetti, con domicilio eletto presso Francesco Scanzano in Roma, Via XXIV Maggio, 43 – anche appellante incidentale;
– Codacons, Associazione degli Utenti della Giustizia, rappresentati e difesi dagli avv. Carlo Rienzi e Gino Giuliano, con domicilio eletto presso Ufficio Legale Codacons in Roma, viale Giuseppe Mazzini, 73;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE III, n. 04728/2014, del dispositivo di sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE III, n. 03184/2014, resi tra le parti, concernenti affidamento convenzione per la polizza di tutela sanitaria “grandi interventi chirurgici” e “grandi eventi morbosi” a favore di tutti gli iscritti alla Cassa Forense e convenzione assicurativa integrativa – risarcimento danni;

 

Visti i ricorsi in appello, gli atti di costituzione in giudizio, le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 novembre 2014 il Cons. Pierfrancesco Ungari e uditi per le parti gli avvocati Fantini, De Portu e Scanzano;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Si controverte sull’esito della procedura aperta (indetta mediante pubblicazione sulla G.U.C.E. dell’11 giugno 2013) per l’affidamento, con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, della convenzione per la polizza di tutela sanitaria “grandi interventi chirurgici” e “gravi eventi morbosi” a favore degli iscritti alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, per il triennio 2014/2016 (valore a base di gara 48 mln di euro).

La gara (dopo il rinvenimento di una rinuncia nel plico della Generali Italia S.p.a.) si è svolta tra due sole offerte, quella della odierna appellante principale Harmonie Mutuelle (società di diritto francese con sede secondaria in Italia) e quella di Unisalute S.p.a., appaltatrice uscente ed odierna appellante incidentale.

La stazione appaltante, con nota in data 7 ottobre 2013, ha chiesto chiarimenti in ordine alla documentazione presentata da HM, la quale ha risposto con nota in data 11 ottobre 2013.

La Commissione, rilevata l’esistenza di un direttore generale di HM (carica apicale della casa madre francese, dotata di ampi poteri di rappresentanza – esercitati anche nel conferire i poteri al titolare della sede secondaria italiana, sig. L.R., il quale ha poi sottoscritto per essa la domanda di partecipazione alla gara e reso le dichiarazioni ex art. 38 del d.lgs. 163/2006), nella persona del sig. F.V., ha ritenuto che anche per costui avrebbe dovuto essere resa la dichiarazione sulla sussistenza dei requisiti di ordine generale ex art. 38, cit.,. Mancando tale dichiarazione nell’offerta HM, con nota prot. 138404 in data 18 ottobre 2013, la Cassa ha escluso HM dalla gara

Con delibera in data 14 novembre 2013, n. 7373, è stata disposta l’aggiudicazione in favore di Unisalute.

HM ha impugnato dinanzi al TAR del Lazio l’esclusione, la lex specialis e (con motivi aggiunti) l’aggiudicazione, chiedendo anche il risarcimento dei danni in forma specifica o per equivalente.

L’aggiudicataria Unisalute ha proposto ricorso incidentale, prospettando altri motivi per i quali HM avrebbe dovuto essere esclusa (omessa dichiarazione da parte degli amministratori della società fusa per incorporazione nel 2012; sostanziale subappalto delle attività, salvo il rischio assicurativo, a società non autorizzate allo svolgimento dell’attività assicurativa ed oltre i limiti consentiti; genericità dell’avvalimento).

Con dispositivo n. 3184/2014, la III Sezione del TAR del Lazio ha respinto il ricorso principale e conseguentemente ha dichiarato improcedibile quello incidentale.

E’ seguito il deposito della sentenza n. 4728/2014.

HM ha appellato dette pronunce, rinnovando le domande proposte in primo grado.

Unisalute ha impugnato la sentenza con appello incidentale, nella parte in cui ha stabilito l’ordine di trattazione delle impugnazioni, riproponendo poi i motivi di ricorso non esaminati nel merito dal TAR.

Sono intervenuti ad adiuvandum dell’appellante principale il CODACONS e l’Associazione Utenti della Giustizia, già interventori in primo grado.

La Cassa Forense si è costituita in giudizio ed ha controdedotto puntualmente in relazione ad entrambi gli appelli.

Tutte le parti hanno depositato memorie e memorie di replica.

Nelle more, in data 10 aprile 2014 è stata stipulata con Unisalute la nuova polizza sanitaria collettiva (con durata 1 aprile 2014-31 marzo 2017) e l’esecuzione dell’appalto ha avuto inizio.

L’appello principale di HM è infondato e deve pertanto essere respinto.

Ciò, per economia di mezzi processuali, consente comunque di prescindere dall’esame delle argomentazioni mediante le quali la Cassa Forense ed Unisalute (facendo leva su distinte interpretazioni di quanto affermato da Cons. Stato, A.P., n. 9/2014 e da C.G.U.E., X, 4 luglio 2013 in C-100/2012) chiedono: l’una che l’esame delle censure demolitorie venga posposto a quello delle censure concernenti l’esclusione (potenzialmente assorbente, qualora il loro rigetto conduca a confermare la mancanza di legittimazione del concorrente escluso ad azionare le altre); l’altra, che l’esame del proprio appello incidentale venga considerato pregiudiziale.

Si esaminano le censure dedotte seguendo l’ordine seguito dall’appellante principale (che coincide con quello della sentenza appellata).

6.1. In primo grado HM aveva dedotto la violazione dell’art. 84, comma 4, del d.lgs. 163/2006 e dei principi di trasparenza e parità di trattamento ex art. 2, d.lgs. cit., in quanto uno dei commissari, la dott.ssa M.N.S., dirigente della Cassa, si sarebbe trovata in situazione di incompatibilità, per aver influito significativamente sulle regole di svolgimento della gara.

La censura si basa sul fatto che la dirigente, quale “relatore” designato sull’argomento, durante la riunione del Consiglio di Amministrazione della Cassa in data 21 febbraio 2013, aveva evidenziato “l’opportunità di effettuare alcune integrazioni” in ordine alla lex specialis ancora non redatta, e “suggerito” (insieme all’altro dirigente-relatore, dott. S.B.) il tipo di gara, il criterio di aggiudicazione, alcuni parametri di valutazione, l’inserimento di alcune clausole (in particolare, quella sulla corresponsione di un’indennità sostitutiva agli assicurati che non facciano richiesta di rimborso), il valore dell’appalto.

Il TAR ha ritenuto infondata la censura, affermando che l’intervento della dott.ssa M.N.S., in quanto coerente con la posizione organica rivestita, ed alla luce della circostanza che la redazione del capitolato è stata affidata ad un’apposita commissione della quale essa non ha fatto parte, non poteva configurare lo svolgimento di una funzione o incarico tecnico o amministrativo relativo al contratto, considerati preclusivi dell’incarico commissariale dall’art. 84, comma 4, cit..

Nell’appello (I motivo), HM ribadisce che l’art. 84, comma 4, risponde alla esigenze della rigida separazione della fase di preparazione della documentazione di gara con quella di valutazione delle offerte, a garanzia della neutralità del giudizio (cfr. Cons. Stato, A.P. n. 13/2013), e che quindi per integrare la causa di incompatibilità non è necessario un particolare tipo di impegno; che è indubbio che la dott.ssa M.N.S. abbia avuto influenza nella definizione delle caratteristiche cruciali della procedura (criterio di aggiudicazione, importo, struttura, singole clausole del capitolato); che la nomina di un’apposita commissione per redigere la lex specialis si risolverebbe in un espediente finalizzato ad aggirare la norma.

Il Collegio ritiene condivisibili le argomentazioni del TAR.

La dirigente non ha redatto gli atti della gara, ma ha semplicemente sottoposto alla valutazione dell’organo di gestione competente ad approvarli, e della commissione tecnica incaricata di elaborarne il testo, alcune considerazioni che riteneva opportune.

Appare fisiologico che il dirigente preposto al settore interessato, e quindi in qualche misura coinvolto, per obbligo d’ufficio, nello specifico lavoro, servizio o fornitura oggetto dell’appalto, formuli all’organo di gestione osservazioni in ordine ai contenuti della gara da espletare; e niente affatto anomalo che le osservazioni – qualora siano motivate e appaiano il frutto dell’esperienza amministrativa accumulata in relazione al servizio in questione – vengano recepite nella lex specialis.

Ciò che conta è che non partecipino alla commissione di gara soggetti che, nell’interesse proprio o in quello di qualcuno dei concorrenti, abbiano assunto o possano assumere compiti relativi all’oggetto della procedura di gara.

In questa prospettiva, i suggerimenti della dirigente non sembrano oggettivamente poter avere indirizzato i lavori della commissione di gara a vantaggio dell’uno o dell’altro concorrente; infatti, sono consistiti (dichiaratamente: nel verbale della citata riunione del Consiglio di amministrazione, si legge che le osservazioni tengono conto “delle nuove previsioni recepite nei piani sanitari attualmente presenti nel panorama assicurativo, sia delle richieste e delle esigenze pervenute dagli iscritti durante questi anni all’attenzione della Commissione Paritetica”) in proposte derivanti dalle conoscenze acquisite in ragione dell’ufficio a cui la dirigente è preposta (la c.d. diaria da ricovero, sostitutiva del rimborso non richiesto dall’assicurato, ed i parametri della valutazione delle offerte; ma anche l’obbligatorietà della gestione telematica e l’inclusione nella polizza di tutti gli iscritti alla Cassa nell’ambito del triennio); ovvero, in scelte di carattere generale, orientate in modo decisivo dalle caratteristiche del contratto e dalla ravvicinata scadenza di quello in corso (espletamento di una procedura aperta con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa); o addirittura appaiono la risultante di parametri oggettivi (individuazione del valore dell’appalto, in funzione del valore della polizza e del numero degli iscritti).

Nessuna argomentazione in contrario, ancorché meramente ipotetica o suggestiva, è stata dedotta dall’appellante principale.

L’affidamento della predisposizione della disciplina di gara ad un’apposita commissione, composta da due avvocati, la quale ha poi elaborato ed inserito detti suggerimenti nell’ambito di un articolato ben più complesso, lungi dal rappresentare un mero espediente, rafforza le considerazioni che precedono.

6.2. Con la seconda censura esaminata dal TAR, HM ha lamentato la violazione dei principi generali in materia di pubblicità, trasparenza e parità di trattamento derivanti dall’art. 2 del d.lgs. 163/2006 e dall’art. 49 del T.F.U.E., in riferimento al mancato espletamento in seduta pubblica della fase di verifica della documentazione amministrativa dei concorrenti (al contrario effettuata in seduta riservata in data 3 e 18 ottobre 2013).

Il TAR ha ritenuto infondata la censura, sottolineando (nel solco di Cons. Stato, A.P., n. 13/2011) che la seduta pubblica è necessaria per l’apertura delle offerte tecniche e la verbalizzazione di quanto in esse presente (verbalizzazione che fa fede fino a querela di falso), ma non anche per l’esame di tutta la documentazione, che può avvenire, in modo più approfondito, anche in successive sedute riservate.

Nell’appello (II motivo), HM sottolinea che in seduta riservata si è svolto, non solo un esame più approfondito della documentazione amministrativa che ha condotto a richiedere ad HM di trasmettere integrazioni circa dichiarazioni di alcuni rappresentanti (seduta del 3 ottobre 2013), ma anche la valutazione che ha portato ad escludere HM e ad ammettere Unisalute (seduta del 18 ottobre 2013); perciò, anche ammettendo che il principio (della possibilità di approfondire l’esame della documentazione amministrativa in sedute riservate successive a quella pubblica) copra tali attività, il TAR avrebbe comunque dovuto tener conto che la giurisprudenza successiva (cfr. Cons. Stato, A.P. n. 31/2012; nonché V, n. 8/2013, che la richiama), superando la precedente impostazione, ha imposto un’applicazione più “ampia” del principio di pubblicità delle sedute, affermando che devono svolgersi in seduta pubblica la verifica dell’integrità dei plichi e la disamina del loro contenuto.

Anche tale prospettazione non può condividersi.

Va precisato, infatti, che la decisione dell’Adunanza Plenaria n. 31/2012 non smentisce, ma conferma quanto affermato con la decisione n. 13/2011 in ordine alla portata applicativa del principio di pubblicità delle sedute.

L’ultima pronuncia della Plenaria sul tema, certamente sancisce la necessità di assicurare al principio la “massima latitudine applicativa”, ma tale affermazione va posta in correlazione con la questione affrontata in quella sede (per quanto può riguardare la controversia oggi in esame), che concerneva l’applicabilità dei principi di pubblicità e trasparenza anche alle procedure relative ai settori speciali, alle procedure negoziate non e senza predisposizione del bando, ed agli affidamenti in economia. La sentenza ha integrato la precedente riguardo al novero di procedure di evidenza pubblica cui si applicano detti principi, non anche per ciò che concerne i casi o le attività che si devono svolgere in seduta pubblica; infatti, la garanzia di pubblicità viene ivi riferita alla “fase procedimentale consistente nell’accertamento di quali e quante siano le offerte da esaminare, nonché nella verifica dello “stato di consistenza” di esse (e, cioè, di quali e quanti siano i documenti prodotti e allegati da ciascun concorrente ammesso alla procedura)”, vale a dire alla “fase dell’accesso delle offerte e dei documenti connessi”, non anche alle fasi successive, quale quella di esame del contenuto della documentazione e della sua rilevanza, anche ai fini di eventuali integrazioni o esclusioni.

6.3. Il III motivo di appello di HM è dedicato a contestare la sua esclusione, per omessa dichiarazione, ex art. 38, cit., del direttore generale della casa madre francese, sig. F.V. .

HM in primo grado aveva sostenuto che la dichiarazione di sussistenza delle condizioni di cui all’art. 38, lett. b), c), e m-ter), del d.lgs, 163/2006, non poteva pretendersi in capo ad un amministratore con poteri di rappresentanza della casa madre, posto che:

(a) – la società ha partecipato alla procedura per il tramite della propria sede secondaria italiana, avente come unico rappresentante, in qualità di preposto, il sig. L.R. (unico soggetto con poteri relativamente all’attività in Italia), il quale ha regolarmente reso la dichiarazione;

(b) – la legge di gara non imponeva alcun obbligo in ordine alla dichiarazione da parte del direttore generale della casa madre, limitandosi a richiamare l’art. 38, cit.; l’ipotesi di esclusione non rientra tra quelle che tassativamente devono essere previste ex art. 46, comma 1-bis, del d.lgs. 163/2006; pertanto, non poteva darsi luogo all’esclusione (così come desumibile anche da Cons. Stato, A.P., n. 23/2013, nonché, in tema di documentazione antimafia, dall’art. 85, comma 2, del d.lgs. 159/2011).

(c) – le dichiarazioni rese in gara con riferimento ad altri rappresentanti della casa madre sono state rese ad abundantiam, e non comportano ammissione di identico obbligo in capo al sig. F.V.;

(d) – in ogni caso, la stazione appaltante avrebbe dovuto chiedere integrazioni (come già fatto nei confronti della stessa HM) ex art. 46, comma 1, del d.lgs. 163/2006; o, comunque, si verserebbe in situazione di “falso innocuo”, posto che F.V. non potrebbe non avere i requisiti oggetto della dichiarazione mancante, in quanto l’art. 79 del d.lgs. 209/2005 richiede per le funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso le imprese assicurative requisiti ben più restrittivi, così come fa, per l’amministratore di un “organismo mutualistico”, l’art. L114-21 del Codice di settore francese; quanto meno, la Cassa avrebbe dovuto svolgere un’indagine in ordine all’effettiva riscontrabilità del requisito.

(e) – l’interpretazione dell’art. 38, cit., accolta dalla stazione appaltante comporta un’ingiustificata disparità di trattamento rispetto agli operatori economici italiani, tale da determinare l’illegittimità costituzionale della norma.

Con distinto motivo di appello (IV), HM lamenta che il TAR non abbia considerato correttamente l’autonomia operativa delle sedi secondarie delle imprese di assicurazione operanti in regime di stabilimento in Italia. Tale profilo di censura – del resto, implicitamente respinto dal TAR mediante le argomentazioni dedicate alle censure precedenti – può essere esaminato congiuntamente al III motivo di appello.

Tutte le predette censure sono state ritenute infondate dal TAR, ed HM le ripropone in appello, puntualizzandone il contenuto.

Il Collegio ritiene che le conclusioni del TAR siano condivisibili.

Che il direttore generale della casa madre francese sia sostanzialmente un amministratore con potere di rappresentanza, si desume dalla delibera del Consiglio di amministrazione di HM del 27 giugno 2013 (che, in base allo statuto, ha riconosciuto al d.g., tra l’altro, il potere di “rappresentare la mutua in tutti gli atti di vita civile e in tutte le procedure avviate ad iniziativa e contro la mutua …” e “agire a nome di questa presso gli amministratori, organismi, imprese, raggruppamenti di diritto privato o pubblico con i quali la mutua è in relazioni”).

Non è dubbio che per gli amministratori con poteri di rappresentanza debbano essere rese le formali dichiarazioni attestanti la sussistenza delle condizioni di cui all’art. 38, comma 1, cit., e che tale adempimento fosse previsto (mediante il richiamo della disposizione di legge) anche dall’art. 4, punto 2, del disciplinare di gara.

Il fatto che l’art. 38 non contempli espressamente la figura degli amministratori della casa madre estera di una società che partecipa alla gara, non implica automaticamente che per costui la dichiarazione non sia necessaria, e che risulti per contro sufficiente quella del rappresentante della sede italiana. La giurisprudenza ha affrontato questioni analoghe e, sulla base del presupposto che l’interesse perseguito dalla disposizione è quello di verificare la condotta di coloro i quali determinano effettivamente le scelte all’interno dell’impresa concorrente, ha ritenuto insufficiente la dichiarazione sui requisiti generali riguardante l’ufficio di rappresentanza in Italia, in mancanza di una dichiarazione riferibile alla società costituita all’estero, dove svolge le attività in funzione delle quali realizza il fatturato speso come requisito ai fini della partecipazione alla gara (cfr. TAR Sicilia, I, n. 1013/2009); ed ha ritenuto che la stazione appaltante deve accertare non tanto le posizioni soggettive dei dichiaranti, quanto la sussistenza dei requisiti di moralità dell’impresa considerata in maniera unitaria e complessiva (indipendentemente dall’esistenza di una sede secondaria), altrimenti si verificherebbe un’irragionevole disparità di trattamento con imprese stabilite in Italia ed il rischio di una facile elusione dell’art. 38 (cfr. TAR Liguria, II, n. 1485/2008).

In questa stessa prospettiva, occorre considerare una circostanza che il Collegio ritiene decisiva. HM ha partecipato alla gara facendo valere i requisiti tecnico-economici (fatturato, capacità tecnica) propri dell’intera società, e quindi anche (e – deve ritenersi, trattandosi della sede principale e risultando la sede secondaria attiva sul mercato italiano solo dal 2013 – in misura prevalente) della casa madre francese, e che il potere di rappresentanza al sig. L.R., “al fine del funzionamento della succursale “Harmonie Italia” (cfr. integrazione di mandato in data 10 gennaio 2013, valida, deve ritenersi, anche ai fini della partecipazione alla gara in questione) è stato conferito proprio dal sig. F.V., direttore generale di HM.

Pertanto, la pretesa dell’appellante principale di far rilevare, in sede di verifica dei requisiti di partecipazione, solo i requisiti di carattere generale dei rappresentanti della sede secondaria italiana, sembra contraddire l’unitarietà dell’assetto societario, o comunque lo stretto collegamento tra casa madre e sede secondaria (se si volesse considerare l’autonomia operativa della sede secondaria rispetto alla casa madre, va ricordato che anche per le imprese ausiliarie che forniscono l’avvalimento dei requisiti sussiste l’obbligo di rendere le dichiarazioni ex art. 38, cit. – cfr. Cons. Stato, V, n. 1647/2014, n. 6164/2012 e n. 5780/2012) e costituire un’ingiustificata deviazione dal principio della corrispondenza nell’assunzione di “onori ed oneri” che tale collegamento comporta.

Soprattutto, come ha osservato il TAR, l’interpretazione dell’art. 38 prospettata da HM consentirebbe a società non italiane di aggirare la normativa in materia di cause ostative a detrimento delle imprese nazionali; e, poiché l’art. 38 è posta a presidio della verifica della moralità professionale delle imprese con cui i soggetti pubblici intendono contrattare, si verificherebbe una disparità di trattamento tra le imprese estere aventi una sede secondaria in Italia e quelle aventi la sola sede italiana e una conseguente elusione della stessa disposizione di legge.

Ciò consente di superare anche la questione di legittimità costituzionale che l’appellante ritiene, in via subordinata, sia da sollevare nei confronti dell’art. 38, comma 1, cit., sotto il profilo della violazione degli artt. 3, 97 e 117 Cost. e 49 e 54 TFUE, il relazione all’ingiustificata disparità di trattamento a danno delle società straniere aventi una sede secondaria in Italia. Infatti, della ratio antidiscriminatoria dell’interpretazione qui accolta si è detto, e deve escludersi che essa comporti oneri di verifica estremamente gravosi per le stazioni appaltanti, o aggravio di attività con margini di incertezza legati all’interpretazione ed applicazione di atti societari (statuti, atti costitutivi) e normative estere, così violando la libertà di stabilimento, trattandosi invece, per le stazioni appaltanti ed i concorrenti, di oneri di carattere ordinario ed agevolmente sostenibili.

Del resto, com’è stato sottolineato nella sentenza di primo grado, i requisiti di cui all’art. 38, comma 1, cit., hanno una matrice di derivazione europea, in quanto recepiscono l’art. 45 della direttiva 2004/18/CE e ciò vale soprattutto per il requisito di cui alla lettera c) in quanto concerne la dichiarazione circa l’assenza di condanne per “reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale”, per cui sarebbe contraddittorio svincolare gli organi rappresentativi della sede estera dall’obbligo dichiarativo.

Pertanto, anche volendo ammettere che, dalle norme in materia assicurativa, discenda una completa autonomia operativa della sede secondaria, ciò non poteva comportare, nel caso in esame, una sostanziale disapplicazione della disciplina dell’evidenza pubblica.

Inconferente appare il richiamo alle disposizioni del d.lgs. 159/2011, posto che la normativa antimafia ha una sua propria ratio e non è suscettibile di applicazione analogica.

Nemmeno il richiamo a quanto affermato dall’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 23/2013 giova all’appellante, in quanto l’oggetto di detta sentenza è l’applicabilità dell’art. 38 ai procuratori speciali, i quali non sono espressamente menzionati dalla disposizione, e comunque hanno poteri assai più limitati di quelli che possiede, nel caso in esame, il direttore generale della casa madre francese. Così come il richiamo a quanto affermato dall’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 16/2014, invocata dall’appellante nella memoria di replica, posto che nella gara in esame non è stata contestata la mancata indicazione analitica nella dichiarazione di soggetti onerati agevolmente individuabili dalla stazione appaltante (o di alcune delle condizioni elencate dall’art. 38), bensì proprio la mancanza di una dichiarazione riferibile, ancorché riassuntivamente e genericamente, ad uno di essi (non essendo evidentemente tale quella effettuata dal sig. L.R., “per sé e per la società che rappresenta”).

Anche l’art. 39 del d.l. 90/2014, altresì sopravvenuto (che ha introdotto all’art. 38, cit., il comma 2-bis, che disciplina su basi diversi le conseguenze delle carenze documentali, valorizzando in termini assai più ampi la possibilità di integrazione e regolarizzazione, a fronte del pagamento di sanzioni pecuniarie), non può condurre a diverse conclusioni, in quanto norma espressamente non applicabile alle procedure di affidamento indette prima della sua entrata in vigore.

D’altro canto, legittimamente – sempre tenendo conto del contesto normativo di riferimento, che è quello antecedente all’introduzione dell’art. 38, comma 2-bis, cit. – non è stato esercitato il c.d. potere di soccorso con richiesta di integrazioni ai sensi dell’art. 46, comma 1 del d.lgs. 163/2006, in quanto la dichiarazione mancante riguarda i requisiti essenziali del soggetto che partecipa al procedimento di gara, da rendere a pena di esclusione, per cui, come sottolineato nella sentenza appellata, una richiesta sollecitatoria postuma da parte della stazione appaltante suonerebbe come una possibilità di sanatoria tardiva e come una lesione della parità di trattamento, laddove gli altri candidati hanno effettuato le dichiarazioni tempestivamente in sede di presentazione dell’offerta. Né ciò può risultare contraddittorio rispetto al precedente esercizio del potere nei confronti della concorrente medesima, posto che in quel caso si è trattato di una richiesta di integrare dichiarazioni incomplete e non di presentare dichiarazioni del tutto mancanti.

Infine, non può essere accolta la prospettazione secondo la quale il non avere presentato la dichiarazione relativamente al direttore generale della sede francese, concretizzerebbe un “falso innocuo”, posto che il sig. F.V., alla luce del maggior rigore imposto per gli amministratori dalla disciplina italiana e da quella francese sulle imprese di assicurazioni, non potrebbe non possedere tutti i requisiti per partecipare alla gara. Infatti, non può postularsi la piena rispondenza in concreto della situazione soggettiva alle previsioni di legge che disciplinano l’attività svolta, ed essendo mancata la dimostrazione del possesso in concreto di detti requisiti, non possono trovare applicazione i principi affermati in tema di falso innocuo (peraltro, controversi nella giurisprudenza), che detta dimostrazione comunque presuppongono.

6.4. Con il V motivo di appello HM lamenta che il TAR abbia ritenuto inammissibile per difetto di interesse la censura incentrata sulla violazione degli artt. 86-88 del d.lgs. 163/2006, per mancata verifica dell’anomalia dell’offerta dell’aggiudicataria Unisalute.

HM ribadisce che la verifica andava fatta, avendo Unisalute ottenuto (46/50 + 50/50 =) 96/100 punti, superiori ai quattro quinti rilevanti ai sensi dell’art. 86, cit., comma 2.

Il Collegio ritiene che correttamente la censura sia stata ritenuta inammissibile, in quanto riguardante la verifica dell’anomalia dell’offerta e dunque una fase del procedimento di gara a cui la ricorrente non ha partecipato a causa dell’esclusione (legittimamente disposta, per quanto sopra considerato).

Peraltro, anche qualora, in accoglimento delle censure concernenti l’esclusione, HM fosse stata riammessa in gara, la procedura sarebbe ripresa da quella fase e la stazione appaltante avrebbe dovuto effettuare nuove valutazioni e procedere ad una nuova aggiudicazione; qualora, invece, fosse stata accolto uno degli altri motivi di ricorso, aventi carattere demolitorio, sarebbe venuta meno (e quindi avrebbe dovuto essere rinnovata) l’intera procedura di gara.

A causa del rigetto dell’appello principale non vi è interesse alla decisione di quello incidentale, che deve pertanto essere dichiarato improcedibile.

Considerata la novità di alcuni aspetti delle questioni trattate, si ravvisano giustificati motivi per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, respinge l’appello principale proposto da Harmonie Mutuelle e dichiara improcedibile quello incidentale proposto da Unisalute.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 novembre 2014 con l’intervento dei magistrati:

Sergio Santoro, Presidente

Bruno Rosario Polito, Consigliere

Vittorio Stelo, Consigliere

Angelica Dell’Utri, Consigliere

Pierfrancesco Ungari, Consigliere, Estensore

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 22/01/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)