Surroga Inail e differenziale: note a margine di Cass. 21961/18 e Finanziaria 2019

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Con la sentenza n. 21961 dd. 10.09.2018, la Corte di Cassazione è intervenuta a chiarire i presupposti e i limiti dell’azione di surrogazione di cui è titolata l’Inail nei confronti del responsabile civile.

I giudici di legittimità hanno innanzitutto descritto i tipi di danno suscettibili d’indennizzo da parte dell’assicuratore sociale, ricordando che

“L’Inail indennizza due tipi di danno, il danno biologico, sotto forma di rendita, ai sensi dell’art.  13 del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38 e il danno patrimoniale nei seguenti profili: la riduzione della capacità di guadagno (che la legge, ai fini dell’assicurazione sociale, presume juris et de jure quando l’invalidità biologica sia superiore al 16 per cento e viene liquidata); la perdita del salario durante il periodo di assenza per malattia (che l’Inail indennizza col pagamento d’una indennità giornaliera pari al 60 per cento della retribuzione, ai sensi dell’art.  68, comma primo, d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124); le spese sanitarie (che l’Istituto è tenuto ad anticipare ai sensi degli artt.  86 e ss. d.P.R. n. 1124cit.).”

Osservano quindi che il primo dei tre pregiudizi patrimoniali, ossia la riduzione della capacità di guadagno, siccome presunta juris et de jure, è

“indennizzato dall’Inail anche quando la vittima dell’infortunio non abbia patito, o non abbia dimostrato di avere patito, alcun pregiudizio da lucro cessante derivato dalla perdita della capacità di lavoro e di guadagno; l’incremento della rendita, infatti, viene erogato dall’Inail senza alcun accertamento concreto circa l’esistenza d’un danno patrimoniale, che la legge – nell’ottica compensativa tipica dell’assicurazione sociale – presume esistente juris et de jure quando l’invalidità permanente sia superiore al 16 per cento.”

Ne consegue, coerentemente, che – a differenza dell’indennità giornaliera e delle spese mediche, che l’Inail riconosce al lavoratore assicurato solo quando questi effettivamente si assenti dal lavoro o sostenga costi per le cure – al contrario

“l’accoglimento della domanda di surrogazione dell’Inail, per gli importi pagati a titolo di incremento della rendita per danno patrimoniale presunto, presuppone l’accertamento che la vittima abbia effettivamente patito un danno civilistico alla capacità di lavoro, in assenza del quale nessuna surrogazione sarà possibile.”

Senza tale dimostrazione, infatti, il surrogante non porterebbe alcuna prova a dimostrazione del danno patito dal surrogato, in luogo del quale pretende la ripetizione delle somme.

La condivisibile logica della pronuncia in esame collide potenzialmente con la posizione cristallizzata dalla Corte in pronunce di poco precedenti, tra cui si cita l’ultima (Cass. Civ., 21.11.2017, n. 27669, che si adegua alle istruzioni del dott. Rossetti contenute in ord. 30.08.2017, n. 17407), stando alle quali

“in tema di liquidazione del danno biologico c.d. differenziale, di cui il datore di lavoro è chiamato a rispondere nei casi in cui opera la copertura assicurativa INAIL in termini coerenti con la struttura bipolare del danno-conseguenza, va operato un computo per poste omogenee, sicché, dall’ammontare complessivo del danno biologico va detratto, non già il valore capitale dell’intera rendita costituita dall’INAIL, ma solo il valore capitale della quota di essa destinata a ristorare, in forza dell’art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000, il danno biologico stesso, con esclusione, invece, della quota rapportata alla retribuzione ed alla capacità lavorativa specifica dell’assicurato, volta all’indennizzo del danno patrimoniale (v. Cass. lav. n. 20807 del 14 ottobre 2016).”

Il punto di potenziale collisione giace nell’osservazione che, laddove correttamente si ritenga di non dar seguito alla surrogazione dell’Inail per voci civilisticamente non sussistenti, nella complementare liquidazione del differenziale in favore del lavoratore danneggiato colui che non abbia patito alcun danno patrimoniale alla capacità di lavoro otterrebbe lo stesso trattamento di colui che lo avesse invece patito in misura tale da assorbire economicamente la quota patrimoniale della rendita Inail.

Non deve sfuggire, a riguardo, che uno dei cardini che sorreggono la teoria dello scomputo posta per posta è proprio il fine di evitare una (in realtà mai sino in fondo dipanata) differenza di trattamento tra vittima- lavoratore dipendente e vittima-lavoratore non dipendente. Differenza che, in realtà, proprio il danno differenziale annulla civilisticamente.

Al contrario, come visto e in maniera più evidente e grave, la sottrazione voce per voce è potenzialmente foriera di una disparità di trattamento tra vittime del sinistro che, quali lavoratori dipendenti, condividono la medesima situazione di fatto e diritto.

Si deve poi tener conto dello scardinamento del secondo puntello di questa regola di scomputo. Questo secondo cardine è costituito, come si ricorderà, dall’addotta differente finalità tra indennità sociale e risarcimento civilistico, differenza che consentirebbe il cumulo tra i due importi.

Tuttavia, tale teoria pare mal conciliarsi sia con il dettato dell’art. 13 d.lgs. 38/2000, sia col principio indennitario, stando al quale il trasferimento del rischio (in questo caso, dal lavoratore all’Inail) non può costituire fonte di lucro per il lavoratore in quanto l’indennizzo deve svolgere unicamente la funzione di riparare il danno subito dall’assicurato.

A chiarire definitivamente il quadro è ora intervenuta la Finanziaria 2019, che all’art. 10 dPR 1124/1965 ha introdotto con un nuovo comma la regola che

“non si fa luogo a risarcimento qualora il giudice riconosca che questo, complessivamente calcolato per i pregiudizi oggetto di indennizzo, non ascende a somma maggiore dell’indennità che a qualsiasi titolo ed indistintamente, per effetto del presente decreto, è liquidata all’infortunato o ai suoi aventi diritto”,

smentendo così a livello legislativo il secondo cardine su cui regge(va) la regola dello scomputo per poste omogenee.

 

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